L'arcere di Kerry

1°Libro di Lynn Flewelling

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    Trama:
    Il suo compagno di cella, dopo averlo salvato, si era rivelato un mago, uno spadaccino e un agente segreto ma Alec di Kerry non si sarebbe mai aspettato di trovarsi al centro di un colossale intrigo! Chi volete che si curi di un giovanotto, senza titoli né fortune, accusato e arrestato ingiustamente? Non gli resta altro che meditare sulla malasorte nella sua cella buia, a meno che... A meno che il suo compagno di prigionia non si riveli un personaggio a dir poco imprevedibile! Così quando Seregil di Rhiminee decide di evadere dalla prigione, il giovane Alec di Kerry lo segue senza immaginare neanche lontanamente dove lo condurrà quella fuga. Perché Seregil non è mai esattamente o solamente ciò che sembra: ladro, aristocratico, guerriero, negromante, spia, ha un nome diverso per ogni occasione e cambia aspetto, età, perfino sesso (apparentemente) grazie ad abili mascheramenti. Già, perché Seregil è il migliore agente di un regno lontano coinvolto in un oscuro intrigo capace di fare tremare troni ed eserciti! Così quando Alec decide di diventare un apprendista di Seregil non immagina neanche lontanamente che cosa lo aspetta da quel momento in avanti. Il giovane, che di suo è solo un abile arciere, dovrà infatti studiare ogni sorta di trucco e di abilità per potere sopravvivere all'avventura straordinaria in cui si è lanciato!


    Estratto primo capitolo:
    1
    FORTUNA NELL'OMBRA

    I torturatori di Asengai erano metodici nelle loro abitudini e sospende-vano sempre la loro opera al tramonto. Nuovamente incatenato nel suo angolo della cella piena di correnti Alec girò il volto verso la rozza parete di pietra e singhiozzò fino a farsi dolere il petto, mentre un gelido vento mon-tano s'insinuava sospirando attraverso la grata della piccola finestra in alto nella parete e portava con sé il dolce profumo della neve imminente. Continuando a piangere, il ragazzo si annidò più in profondità nella paglia marcia perché per quanto la sua superficie ruvida gli sfregasse dolorosa-mente contro le escoriazioni e i lividi che gli segnavano la pelle nuda, essa era meglio di niente ed era tutto ciò che aveva.
    Era solo nella cella perché avevano impiccato il mugnaio il giorno pre-cedente e l'uomo chiamato Danker era morto durante la tortura. Alec non aveva mai incontrato quei due prima di essere catturato, ma entrambi erano stati gentili con lui e adesso stava piangendo anche per loro e per la morte orribile che avevano fatto.
    Quando le lacrime cessarono di scorrere Alec si chiese ancora una volta perché fosse stato risparmiato e perché Lord Asengai avesse raccomandato ripetutamente ai torturatori di "non segnare troppo il ragazzo". Per questo motivo non avevano usato su di lui i ferri roventi né gli avevano tagliato gli orecchi o lacerato la schiena con la frusta come avevano fatto con gli altri, ma si erano limitati a percuoterlo con abilità e a immergerlo nell'acqua fin quasi a farlo annegare mentre lui continuava a urlare la verità senza però riuscire apparentemente a convincere i suoi catturatori del fatto che si era addentrato nelle terre di quella remota tenuta di Asengai unicamente alla ricerca di pelli di gatti selvatici.
    La sola speranza che gli rimaneva era che lo uccidessero in fretta perché adesso la morte appariva come una gradita liberazione dalle ore di soffe-renza e dall'interminabile succedersi di domande che lui non capiva e a cui non sapeva come rispondere. Aggrappandosi a questo misero conforto scivolò infine in un sonno irrequieto.

    Fu svegliato qualche tempo dopo dal familiare rumore di stivali; adesso i raggi della luna filtravano attraverso la finestra e andavano a cadere sulla paglia accanto a lui, cosa che lo indusse a raggomitolarsi nella più fitta zona d'ombra dell'angolo della parete, agghiacciato dal terrore.
    A mano a mano che i passi si fecero più vicini ad essi si aggiunsero all'improvviso lo stridere di una voce acuta che gridava e imprecava e i ru-mori di una lotta, poi la porta della cella si spalancò rumorosamente e le forme scure dei due guardiani e di un prigioniero che si dibatteva si sta-gliarono per un istante sullo sfondo del chiarore delle torce accese nel cor-ridoio.
    Il prigioniero era un uomo minuto e non troppo alto che però stava lot-tando come una donnola presa in una trappola.
    «Lasciatemi andare, stupidi bruti!» stridette, in un tono furente il cui ef-fetto era però alquanto rovinato da un marcato difetto di pronuncia relativo alle sibilanti. «Io esigo di vedere il vostro signore! Come osate arrestarmi? Un onesto bardo non può dunque attraversare questa regione senza essere molestato?»
    Liberando un braccio con una contorsione sferrò quindi un pugno al guardiano alla sua sinistra ma questi, molto più massiccio di corporatura, bloccò con facilità il colpo e tornò ad immobilizzargli bruscamente l'arto.
    «Non ti agitare tanto» sbuffò, assestando al prigioniero un colpo violento su un orecchio. «Incontrerai il nostro signore anche troppo presto, e dopo desidererai non averlo fatto.»
    «Già, e prima che lui abbia finito con te ti metterai a cantare con quanto fiato hai in gola» aggiunse l'altra guardia, con una risata piena di cattiveria, accompagnando quelle parole con alcuni colpi rapidi e duri al volto e al ventre del prigioniero, le cui proteste cessarono definitivamente.
    Trascinato l'uomo fino alla parete opposta a dove si trovava Alec, le due guardie procedettero ad incatenarlo mani e piedi.
    «Che ne dici di passare un po' di tempo con quello?» commentò quindi una delle due, accennando con il pollice in direzione di Alec. «Lo porte-ranno via fra un giorno o due, quindi perché non ci divertiamo un poco finché possiamo?»
    «No. Hai sentito il padrone... ne andrà della nostra pelle se gli schiavisti non dovessero volerlo perché è troppo rovinato. Andiamo, la partita sta per cominciare.»
    Poi i due si chiusero la porta alle spalle, la chiave girò stridendo nella serratura e le voci delle guardie si allontanarono lungo il corridoio.
    Schiavisti? Pensando a quanto aveva sentito Alec si raggomitolò ancor più su se stesso nell'ombra. Nelle terre del settentrione non c'erano schiavi, ma lui aveva sentito parlare fin troppo spesso di persone rapite e portate in paesi lontani e incontro ad una sorte incerta, senza che di loro si sapesse più nulla: con la gola contratta per il panico, prese a strattonare inutilmente le proprie catene.
    «Chi c'è?» gemette il bardo, sollevando la testa.
    Alec s'immobilizzò, fissandolo con espressione guardinga. La pallida luce della luna era abbastanza intensa da permettergli di vedere che il nuovo venuto indossava gli abiti sgargianti propri del suo mestiere e cioè una tunica con una mantella a punte allungate abbinata a calzoni e fusciacca a strisce, una tenuta completata da alti e infangati stivali da viaggio. La luce lunare non era però sufficiente a illuminare il volto dello sconosciuto, an-che a causa dei lunghi capelli scuri e accuratamente arricciati che gli rica-devano sulle spalle nascondendogli i lineamenti.
    Troppo sfinito e infelice per tentare anche solo di avviare una conversa-zione, Alec si appiattì nel suo angolo senza rispondere e l'uomo parve fis-sare con attenzione lo sguardo nella sua direzione... ma prima che potesse dire qualsiasi cosa si sentirono i passi delle guardie che tornavano verso la cella. Appiattendosi sulla paglia, il bardo badò a rimanere immobile mentre le guardie trascinavano nella cella un terzo prigioniero, questa volta un tozzo e massiccio operaio che portava abiti di rozza fattura e gambali di cuoio macchiati.
    Per quanto robusto, l'uomo stava obbedendo in silenzio alle guardie con aria terrorizzata e si lasciò incatenare passivamente per i piedi alla parete vicino al bardo.
    «Ecco un altro po' di compagnia per te, ragazzo» commentò una delle guardie con un sogghigno, posando una piccola lampada in una nicchia vicino alla porta prima di andarsene. «Qualcuno che ti aiuterà a passare il tempo fino a domattina.»
    La luce della lampada si riversò su Alec, mettendo in evidenza i lividi scuri e i gonfiori che gli segnavano la pelle chiara e seminuda, coperta soltanto dai laceri resti della sua sottotunica di lino. Sentendo su di sé lo sguardo del nuovo prigioniero, Alec lo sostenne con espressione impassi-bile.
    «Per il Creatore, ragazzo! Cos'hai fatto perché ti trattassero in questo modo?»
    «Niente» replicò Alec, con voce rauca. «Hanno torturato sia me che gli altri. Loro sono morti... ieri. Che giorno è?»
    «All'alba sarà il terzo di Erasin.»
    Sentendo la testa che gli pulsava dolorosamente, Alec si domandò se davvero erano soltanto quattro giorni che si trovava in quella cella.
    «Ma per cosa ti hanno arrestato?» insistette intanto l'uomo, adocchiando il ragazzo con aria sospettosa.
    «Per spionaggio, ma non è vero! Ho cercato di spiegare...»
    «Anche a me è successo lo stesso» sospirò il contadino. «Mi hanno preso a calci, picchiato, derubato e tuttavia non hanno voluto ascoltare quello che dicevo. "Sono Morden Swiftford, sono soltanto un contadino!" ho con-tinuato a ripetere, e tuttavia eccomi qui.»
    Con un profondo gemito il bardo si sollevò a sedere e si dibatté goffa-mente nel tentativo di districarsi dalle catene; dopo alcuni momenti di con-siderevoli contorsioni riuscì infine a sistemarsi con la schiena addossata alla parete.
    «Quei bruti pagheranno cara quest'indegnità» ringhiò con voce fievole. «Pensate, sostenere che Rolan Silverleaf è una spia!»
    «Anche tu?» domandò Morden.
    «È assurdo... appena la scorsa settimana ero a Rook Tor, dove mi sono esibito durante la Festa del Raccolto. Comunque il caso vuole che da queste parti io abbia alcuni amici potenti, e potete credermi se vi dico che verranno a sapere del trattamento che mi è stato inflitto!»
    Il bardo continuò quindi a parlare, fornendo un elenco enciclopedico dei posti in cui si era esibito e delle persone di rango a cui intendeva rivolgersi per avere giustizia, ma Alec non gli prestò attenzione: avviluppato nel suo stato d'infelicità se ne rimase raggomitolato in silenzio nel suo angolo mentre Morden ascoltava il bardo a bocca aperta.
    Le guardie tornarono un'ora più tardi per prelevare lo spaventato conta-dino, e di lì a poco le urla ormai fin troppo familiari echeggiarono lungo il corridoio, inducendo Alec a premere il volto contro le ginocchia e a coprirsi gli orecchi nel tentativo di non sentire. Sapeva che il bardo lo stava os-servando, ma nello stato in cui era ormai non gli importava più di nulla.
    Quando le guardie lo riportarono in cella e lo incatenarono di nuovo alla parete, Morden aveva i capelli e il giustacuore sporchi di sangue e rimase sdraiato dove lo avevano gettato, con il respiro rauco e affannoso.
    Alcuni momenti più tardi un'altra guardia venne a portare ai prigionieri scarse razioni di acqua e di gallette che Rolan esaminò con evidente disgu-sto.
    «Sono ammuffite, ma tu dovresti mangiare qualcosa» disse quindi, get-tando la propria porzione ad Alec.
    Il ragazzo ignorò quel cibo e anche il proprio, terrorizzato dalla consa-pevolezza che la distribuzione delle razioni significava che l'alba era vicina e che un'altra cupa giornata stava per cominciare.
    «Avanti, mangia, più tardi avrai bisogno di essere in forze» lo incitò Ro-lan, in tono urgente, e quando Alec distolse lo sguardo persistette: «Se non altro bevi un po' d'acqua. Sei in grado di camminare?»
    «Che differenza vuoi che faccia?» ribatté il ragazzo, scrollando le spalle con aria apatica.
    «Fra non molto forse ne farà parecchia» replicò il bardo, con uno strano sorriso e con voce che aveva adesso qualcosa di nuovo, una tonalità calco-latrice che era decisamente in contrasto con il suo aspetto da damerino. La luce fioca della lampada lasciava ancora in ombra il suo viso, ma eviden-ziava un naso lungo e affilato e un occhio acuto.
    Alec bevve un piccolo sorso d'acqua, poi trangugiò avidamente anche il resto allorché le esigenze del suo corpo, che non riceveva né cibo né acqua da più di un giorno, presero il sopravvento sulla sua depressione.
    «Così va meglio» mormorò Rolan, poi si sollevò in ginocchio e si allon-tanò dalla parete nella misura in cui glielo permettevano le catene che aveva alle gambe e ai polsi, tenendo le braccia tese all'indietro. Morden sollevò la testa per osservarlo con opaca curiosità.
    «Non serve, in questo modo otterrai soltanto di far accorrere le guardie» sibilò Alec, desiderando che quell'uomo la smettesse di agitarsi tanto.
    La risposta di Rolan fu una strizzata d'occhio che lo lasciò interdetto, poi il bardo cominciò a flettere le mani allargando le dita e i pollici verso l'e-sterno; un momento più tardi Alec sentì giungere dall'altro lato della cella lo schiocco sommesso e nauseante delle articolazioni che uscivano dagli alveoli e le mani di Rolan scivolarono fuori dal cerchio delle manette: ca-dendo in avanti, lui si puntellò con un gomito e si affrettò a rimettere a posto l'articolazione alla base di ciascun pollice.
    «Ecco fatto» commentò quindi, asciugandosi il sudore dal volto con un'estremità della mantella a punte. «Adesso provvediamo ai piedi.»
    Abbassata la sommità dello stivale sinistro tirò fuori da una tasca interna un lungo strumento simile ad un punteruolo e dopo pochi istanti di lavoro a ciascuna serratura riuscì a liberarsi anche le gambe. Presa la propria tazza d'acqua e quella di Morden, si avvicinò quindi ad Alec.
    «Bevi, ma fa' con calma... piano. Come ti chiami?»
    «Alec di Kerry» rispose il ragazzo, sorseggiando con gratitudine quella razione aggiuntiva d'acqua e stentando a credere a ciò che aveva appena visto: per la prima volta da quando era stato catturato, infatti, cominciava a intravedere un barlume di speranza.
    Mentre lui beveva, Rolan continuò ad osservarlo con attenzione, dando l'impressione di essere arrivato ad una decisione che non lo soddisfaceva completamente.
    «Immagino sia meglio che tu venga con me» disse infine con un sospiro, poi si allontanò i capelli dagli occhi con un gesto impaziente e si girò verso Morden con le labbra incurvate in un sorriso sottile e tutt'altro che amiche-vole, aggiungendo: «Quanto a te, amico mio, pare che tu attribuisca un valore notevolmente scarso alla tua vita.»
    «Buon signore» balbettò Morden, ritraendosi con aria spaventata, «io sono soltanto un umile contadino, ma di certo la vita mi sta a cuore come...»
    Rolan lo interruppe con un gesto impaziente, poi si protese in avanti di scatto e infilò una mano nell'apertura dello sporco giustacuore del supposto contadino, tirandone fuori una sottile catena d'argento che gli fece dondo-lare davanti agli occhi.
    «Non sei molto convincente, sai. Per quanto siano degli idioti, gli uomini di Asengai sono troppo efficienti per lasciarsi sfuggire un ninnolo del genere.»
    La sua voce è diversa! pensò Alec, osservando in preda alla confusione quello strano confronto: adesso Rolan non aveva più nessun difetto di pro-nuncia e il suo tono era decisamente minaccioso.
    «Vorrei anche farti notare che di solito gli uomini che vengono torturati soffrono poi di una sete spaventosa» continuò intanto il bardo, «a meno che non puzzino di birra quanto te. Era buona la cena che hai diviso con le guardie? Mi chiedo da dove provenga il sangue di cui sei sporco.»
    «È quello di tua madre!» ringhiò Morden, perdendo la sua espressione da sempliciotto ed estraendo una daga dai gambali per poi scattare verso il bardo, che però schivò il suo attacco e lo raggiunse alla gola con il pugno serrato, schiacciandogli la laringe e sferrandogli subito dopo un colpo di gomito alla tempia che lo fece crollare come un bue sulla paglia con il sangue che gli scorreva dalla bocca e da un orecchio.
    «Lo hai ucciso!» esclamò Alec, con un filo di voce.
    «Pare di sì» annuì Rolan, premendo un dito contro la gola di Morden. «Quest'idiota avrebbe dovuto urlare per chiamare le guardie.»
    Nel parlare si girò verso Alec, che per reazione si appiattì contro le pareti umide della cella.
    «Calmati» lo tranquillizzò Rolan... e con suo stupore il ragazzo si accorse che stava sorridendo. «Vuoi uscire di qui oppure no?»
    Alec riuscì ad annuire in silenzio e rimase rigido e immobile mentre Ro-lan provvedeva a forzare la serratura delle sue catene; quando ebbe finito, il bardo tornò quindi ad accostarsi al corpo di Morden.
    «Adesso vediamo chi eri» commentò, rivolto al morto, infilandosi nello stivale la daga di quest'ultimo e aprendo lo sporco giustacuore per esami-nare il torso peloso che esso copriva. «Hmmm, niente di sorprendente» mormorò quindi, tastando l'ascella sinistra.
    Curioso nonostante la paura, Alec strisciò in avanti quanto bastava per poter sbirciare da sopra la spalla di Rolan.
    «Vedi qui?» indicò il bardo, mostrandogli un triangolo composto da tre minuscoli tatuaggi circolari azzurri impressi nella pelle chiara all'altezza dell'articolazione del braccio.
    «Cosa significa?» domandò Alec.
    «È il simbolo di una corporazione. Lui era un Giocoliere.»
    «Un saltimbanco?»
    «No» sbuffò Rolan. «Lui era una donnola, un sicario. I Giocolieri svol-gono ogni sorta di sporchi lavori in cambio di un prezzo adeguato e scia-mano intorno ai nobili di basso rango tipo Asengai come mosche in una latrina. Avanti, mettiti questo» ingiunse quindi ad Alec, sfilando al morto il giustacuore sporco e porgendolo al ragazzo. «E spicciati! Te lo dico una volta soltanto: resta indietro e dovrai cavartela da solo!»
    L'indumento era sporco e intriso di sangue all'altezza del collo, ma Alec si affrettò ad obbedire e se lo infilò nonostante un brivido di repulsione; quando ebbe finito scoprì che Rolan stava già lavorando per forzare la ser-ratura della porta.
    «Arrugginita figlia di buona donna» commentò il bardo, sputando nel buco della serratura; infine essa si decise a cedere e lui aprì la porta di una fessura, sbirciando fuori.
    «Pare che la via sia libera» sussurrò. «Restami vicino e fa' quello che ti dico.»
    Con il cuore che gli martellava negli orecchi Alec lo seguì nel corridoio. Parecchi metri più avanti c'era la camera in cui avevano luogo le torture e più oltre c'era la sala delle guardie, la cui porta spalancata permetteva di sentire il rumore di una partita di qualche tipo che stava procedendo fra gli schiamazzi dei partecipanti.
    Gli stivali di Rolan non produssero maggior rumore dei piedi nudi di Alec mentre i due avanzavano lentamente verso la soglia aperta; quando la raggiunsero Rolan piegò per un momento la testa da un lato, come in ascolto, poi sollevò quattro dita e con un gesto rapido segnalò ad Alec di oltrepassare la soglia in fretta e senza far rumore.
    Il ragazzo scoccò un'occhiata all'interno della stanza, scoprendo che le quattro guardie erano inginocchiate intorno ad un mantello steso sul pavi-mento mentre una di esse lanciava i dadi e parecchie monete cambiavano di mano fra una quantità di imprecazioni peraltro cordiali.
    Aspettato il momento in cui l'attenzione generale si concentrata sul tiro di dadi successivo, sgusciò dall'altra parte della soglia. Rolan lo raggiunse senza far rumore e insieme si affrettarono a svoltare un angolo e a scendere una scala in fondo alla quale c'era una nicchia poco profonda in cui ardeva una lampada di cui Rolan s'impossessò nel passarle accanto.
    Non avendo la minima idea della struttura interna dell'edificio Alec perse ben presto l'orientamento mentre procedevano lungo una successione di tortuosi corridoi; alla fine Rolan si arrestò ed aprì una stretta porta, scom-parendo nel buio al di là di essa e sussurrando ad Alec di stare attento ai gradini appena in tempo per risparmiargli di rotolare giù per una nuova rampa di scale che aveva inizio a meno di un passo dalla soglia.
    Laggiù faceva più freddo e c'era una notevole umidità, come dimostra-vano anche i licheni che chiazzavano le pietre delle pareti e che venivano illuminati a tratti dalla lampada che Rolan aveva in mano; anche i gradini erano di pietra, per quanto sbrecciati e rovinati dall'incuria.
    Un'ultima rampa di scalini semisgretolati li condusse ad una bassa porta rinforzata in ferro: adesso il gelo era tale che il pavimento risultava ghiac-ciato sotto i piedi nudi di Alec, il cui respiro scaturiva dalle labbra in pic-coli sbuffi di vapore bianco. Porgendogli la lampada, Rolan si mise all'o-pera per forzare il pesante lucchetto che pendeva da un anello piantato nel legno della porta.
    «Ecco fatto» sussurrò quando infine la serratura cedette. «Adesso spegni la lampada e lasciala qui.»
    Insieme scivolarono nell'ombra del cortile cinto da mura. La falce di luna era bassa verso ovest e il cielo ancora punteggiato di stelle mostrava già i primi accenni d'indaco che lasciavano presagire l'approssimarsi dell'alba; tutt'intorno nel cortile ogni cosa... la catasta della legna, il pozzo, la fucina del fabbro... era coperta da uno spesso strato di brina e nel vederlo Alec pensò che quell'anno l'inverno sarebbe giunto presto, se ne sentiva già l'o-dore nell'aria.
    «Questo è il cortile delle stalle» sussurrò intanto Rolan. «Dietro quella catasta di legna ci sono le porte, affiancate da una pusterla. Dannazione, fa veramente freddo!»
    Passandosi con decisione una mano fra i ridicoli capelli ricciuti, il bardo tornò ad esaminare Alec, constatando che a parte il giustacuore sporco il ragazzo era quasi nudo.
    «Non puoi certo andare in giro conciato in questo modo» disse quindi. «Raggiungi la porta laterale e aprila: non ci dovrebbero essere guardie, ma tieni gli occhi aperti e non fare rumore! Io sarò subito di ritorno.»
    E prima che Alec potesse protestare svanì come uno spettro in direzione delle stalle.
    Rimasto solo Alec si accoccolò per un momento vicino alla porta, strin-gendosi le braccia intorno al corpo per proteggersi dal freddo: adesso che era solo nel buio sentì svanire in fretta quel breve impeto di sicurezza che lo aveva sostenuto fino a quel momento, e quando un'occhiata in direzione delle stalle rivelò che non si scorgeva traccia del suo strano compagno l'inquietudine si trasformò nel suo animo in un'ondata di genuina paura che si agitò appena oltre la fragile soglia della sua risolutezza.
    Costringendosi a respingerla, il ragazzo s'impose di concentrarsi sul compito di valutare la distanza che lo separava dal lato in ombra della ca-tasta di legna.
    Non sono arrivato fin qui soltanto per farmi abbandonare perché sono un debole, si rimproverò. Creatrice Dalna, tieni la tua mano su di me in questo momento!
    Tratto un profondo e silenzioso respiro scattò in avanti ed era ormai ad un braccio di distanza dalla catasta di legna quando un'alta figura emerse dall'ombra della fucina, che si trovava a pochi metri di distanza.
    «Chi è là!» esclamò l'uomo, estraendo qualcosa dalla cintura. «Tu, fer-mati e rispondi!»
    Alec invece si tuffò verso la catasta e si gettò dietro di essa, sentendo qualcosa di duro sbattergli contro il petto quando atterrò al suolo.
    Allorché allungò la mano per controllare di cosa si trattava essa si chiuse intorno alla liscia impugnatura di un'ascia... poi lui dovette rotolare rapi-damente per evitare il pesante randello che l'uomo stava calando in dire-zione della sua testa. Tenendo l'ascia come se si fosse trattato di un bastone, riuscì a parare il colpo della sentinella ma si trovò ad essere in posizione di netta inferiorità fisica, e sentì le poche forze che gli erano rimaste dopo giorni di maltrattamenti svanire in fretta sotto la pioggia di colpi che minacciava di sopraffarlo. Mentre scattava all'indietro, intravide Rolan fermo vicino alla porta delle stalle, ma invece di venire ad aiutarlo il bardo tornò a svanire nell'ombra dell'edificio.
    Allora è così che stanno le cose, pensò cupamente il ragazzo. Sono finito nei guai e lui ha deciso di abbandonarmi.
    Spinto dalla furia generata da una disperazione assoluta si scagliò allora contro la stupefatta sentinella, costringendola ad indietreggiare di fronte ad una serie di selvaggi fendenti vibrati con l'ascia a doppia lama che aveva in pugno: se doveva morire in questo posto terribile almeno lo avrebbe fatto combattendo e sotto il cielo aperto.
    Ripresosi in fretta dallo sconcerto iniziale il suo avversario stava intanto ricominciando a incalzarlo quando entrambi vennero colti di sorpresa da un improvviso fragore: le porte della stalla si spalancarono rumorosamente e Rolan saettò fuori dell'edificio in sella ad un enorme cavallo nero, inseguito da una schiera di stallieri, di garzoni e di guardie che stavano gridando per dare l'allarme.
    «La porta, dannazione! Apri la porta!» urlò Rolan, descrivendo il peri-metro del cortile con gli inseguitori alle calcagna.
    Distratta, la sentinella parò goffamente ed Alec ne approfittò per insi-nuarsi sotto la sua guardia con un selvaggio fendente: la lama raggiunse il bersaglio e l'uomo crollò al suolo urlando mentre il ragazzo lasciava cadere l'ascia e saettava verso la porta, sollevando dai sostegni la pesante sbarra e spalancando i battenti.
    E adesso? si chiese quindi.
    Nel guardarsi intorno scoprì che Rolan era impegnato dalla parte opposta del cortile: una guardia lo aveva afferrato per una caviglia e un garzone di stalla stava spiccando dei salti nel tentativo di impadronirsi delle redini del cavallo. Accorgendosi che la porta era infine aperta il bardo costrinse intanto l'animale a impennarsi e lo spinse ad un furioso galoppo attraverso il cortile, facendogli saltare senza difficoltà il pozzo e dirigendolo verso le porte; tirando leggermente le redini, avvolse quindi una mano nella criniera nera dell'animale e si abbassò sul suo collo, protendendo il braccio libero verso il basso.
    «Vieni qui!» urlò.
    Alec allungò la mano appena in tempo. Le dita di Rolan gli si serrarono intorno al polso e lo sollevarono da terra, issandolo sull'ampio dorso del cavallo, e lui si affrettò ad assestarsi in arcione e a stringere le braccia in-torno alla vita del compagno mentre oltrepassavano a precipizio le porte e si lanciavano lungo la strada al di là di esse.
    Una volta fuori aggirarono il piccolo villaggio annidato a ridosso delle mura della fortezza e volarono lungo la strada in direzione del boscoso pendio montano che si stendeva al di sotto del dominio di Asengai.
    Dopo che ebbero percorso parecchi chilometri Rolan abbandonò la strada e si addentrò nella fitta foresta che la fiancheggiava; al sicuro in mezzo agli alberi, fece infine arrestare la cavalcatura.
    «Avanti, prendi questo» sussurrò, mettendo un fagotto nelle mani di Alec.
    Si trattava di un mantello, e anche se il suo rozzo tessuto puzzava di stal-la, il ragazzo si avvolse con sollievo, stringendo i piedi nudi contro i fianchi fumanti del cavallo per scaldarli.
    Dal momento che la sosta silenziosa si protraeva, Alec si rese conto che stavano aspettando qualcosa, e di lì a poco sentì infatti un rumore di zocco-li; il buio troppo fitto gli impedì di contare i cavalieri che oltrepassarono il loro nascondiglio, ma a giudicare dal rumore prodotto dalle cavalcature dovevano essere almeno una mezza dozzina.
    Dopo aver aspettato che il gruppo si fosse allontanato a sufficienza, Ro-lan riportò quindi il cavallo nero sulla strada e lo avviò verso la fortezza.
    «Stiamo andando nella direzione sbagliata» sussurrò Alec, tirandolo per una manica.
    «Non ti preoccupare» rispose il suo compagno, con una risatina som-messa.
    Di lì a poco abbandonarono infatti la strada principale per imboccare un sentiero coperto di erbacce e avviarsi al piccolo galoppo lungo un pendio fittamente boscoso, protetti dagli alberi che li sferzavano in volto con i rami. Fermandosi di nuovo, Rolan chiese quindi ad Alec di dargli il man-tello e lo gettò sulla testa del cavallo per tenerlo tranquillo; seguì una breve attesa poi sentirono arrivare di nuovo i cavalieri, che questa volta stavano procedendo più lentamente e si scambiavano a vicenda dei commenti.
    Due di essi si addentrarono sul sentiero laterale, passando a circa tre metri dal punto in cui Rolan e Alec stavano nascosti, immobili e trattenendo il respiro.
    «Ti dico che deve essere un mago» stava dicendo uno dei due, «per aver ucciso quel bastardo del sud come ha fatto, scomparire dalla cella e poi svanire nel nulla in questo modo!»
    «Al diavolo i maghi» ribatté l'altro. «Sarai tu a desiderare di essere un mago se Berin non li raggiungerà lungo la strada, perché Lord Asengai ci farà scuoiare tutti!»
    Un istante più tardi un cavallo incespicò e s'impennò.
    «Per le Interiora di Bilairy! Non è possibile percorrere al buio questo sentiero. Se lo avessero imboccato a quest'ora si sarebbero già rotti l'osso del collo» borbottò il primo dei due uomini, poi essi rinunciarono alle ri-cerche e tornarono nella direzione da cui erano venuti.
    Quando infine intorno riprese a regnare il silenzio più assoluto Rolan rimontò in groppa davanti ad Alec e gli restituì il mantello.
    «Adesso cosa facciamo?» sussurrò il ragazzo, allorché si rimisero in cammino lungo il sentiero montano.
    «Ho lasciato alcune provviste a qualche chilometro da qui e spero che ci siano ancora. Tieniti forte perché ci aspetta una dura cavalcata.»
     
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  2. nathalie_smack
     
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    Questo libro mi incuriosisce molto!
    Qualcuno lo ha letto? Mi piacerebbe leggere un giudizio su questo libro, anche perché ho una lunghissima lista di libri da leggere, quindi vorrei sapere se vale la pena aggiungere anche questo ;)
     
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    è un libro bellissimo!
    è innanzi tutto un fantasy!
    tra fughe rocambolesche, travestimenti, inseguimenti, c'è un po' di tutto. Un ragazzo di campagna impara quanto è vario il mondo, trova un mentore affascinante e pieno di inventiva che gli insegna tutto ciò che sa. è il primo libro di una trilogia veramente meritevole. Consigliatissimo
     
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  4. Ryelle77
     
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    Mi incuriosisce... :)
     
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  5. Micianera75
     
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    Credo che ce ne sia anche un terzo non tradotto in Italia, perchè qualche idiota ha fatto rimostranze alla casa editrice (visto che i due personaggi maschi, hanno una relazione) e quindi è stato sospeso. Non ho notizie recenti ma credo che si possa prenotare dalla casa editrice. Io dovrei averlo in formato ebook credo.
     
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    In realtà non sono tradotti gli ultimi 3, rispettivamente

    serie Nightrunner

    1. Luck in the Shadows (1996) L'ARCIERE DI KERRY
    2. Stalking Darkness (1997) ALEC DI KERRY
    3. Traitor's Moon (1999) IL TRADITORE DI KERRY
    4. Shadows Return (2008) inedito
    5. The White Road (2010) inedito
    6. Casket of Souls (2012) inedito
    7. Shards of Time (2014) in uscita in inglese

    un po' è anche colpa dell'autrice, che ha aspettato nove anni per scrivere un seguito. A quel punto la Nord non ha avuto più interesse a continuare la traduzione oltre al fatto che parla di una coppia di omosessuali
     
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5 replies since 19/8/2012, 23:14   145 views
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