Alec di Kerry

2°libro di Lynn Flewelling

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    Trama:
    Mentre si profila l’ombra di un conflitto drammatico, due segreti sconvolgenti mettono a dura prova gli avventurieri più abili del regno. Seregil di Rhiminee e Alec di Kerry sono molto di più che una coppia di amici o di colleghi. Ladri, agenti segreti, un po’ esperti di magia, sono due dei più abili e inventivi avventurieri del loro tempo. Da quando, dopo averne fatto il suo adepto, Seregil ha insegnato ad Alec tutti i segreti del mestiere, insieme hanno messo a segno colpi straordinari e concluso con successo missioni apparentemente impossibili. Furti e spionaggio, travestimenti e raggiri sono il loro pane quotidiano; gli amici sono affascinati, i nemici, frastornati, li odiano. Cosa bolle in pentola, ora, che scuote fino nelle viscere il reame in cui hanno finalmente trovato asilo? Una guerra devastante si profila all’orizzonte, eppure l’attenzione di Seregil e Alec è distolta da qualcosa di ancora più grave. Il mago Nysander ha convocato Seregil per metterlo a parte di uno sconvolgente segreto, che deve essere mantenuto a qualunque costo e il cui disvelamento potrebbe causare addirittura la morte sua e di Alec. Quest’ultimo, a sua volta, comincia a intuire che una verità celata e perturbante si nasconde nel suo passato. Che ne sarà ora dei due formidabili avventurieri? Insieme a un pugno di ardimentosi compagni si troveranno ben presto catapultati al centro di un formidabile intrigo, che li obbligherà a fare ricorso a ogni loro abilità.
    Estratto del primo capitolo:

    1
    UNA NOTTE SFORTUNATA



    Il vento carico di nevischio soffiava dal mare, percuotendo le strade buie di Rhiminee come un enorme bambino infuriato; tegole smosse si stacca-vano e cadevano rumorosamente nelle strade e nei giardini, gli alberi spogli agitavano i rami che ticchettavano come ossa morte nella notte, e nel porto sottostante più di una nave veniva strappata dagli ormeggi per essere mandata a infrangersi contro i moli. Nella città alta come in quella bassa perfino le case di piacere avevano chiuso in anticipo i battenti.
    Due figure ammantate emersero dall'ombra di un cortile nella Strada del Pesce Azzurro e si avviarono rapide lungo la Strada del Fascio di Grano.
    «Non riesco a credere che siamo usciti con questo tempo per consegnare un dannato pegno d'amore» brontolò Alec, scuotendo la testa per allonta-nare dagli occhi i fradici capelli biondi.
    «Dobbiamo preservare la reputazione del Gatto di Rhiminee» ribatté Se-regil, tremando e invidiando ad Alec la sua nordica tolleranza al freddo. «Lord Phyrien ci ha pagati perché depositassimo stanotte l'oggetto sul cu-scino della ragazza, e inoltre voglio curiosare nella cassetta della corri-spondenza di suo padre, perché corre voce che stia manovrando per avere il posto di Vicereggente.»
    Nel parlare Seregil sorrise fra sé, compiaciuto. Per anni il misterioso ladro noto come il Gatto di Rhiminee aveva aiutato i membri delle classi cittadine più elevate a tenere in piedi i loro interminabili intrighi: tutto quello che ci voleva per avere il suo aiuto erano dell'oro e un messaggio depositato nelle mani giuste, e nessuno dei nobili aveva mai immaginato che quella spia senza volto fosse uno di loro, o che quello stato di cose fosse vantaggioso anche per il Gatto.
    Sferzati dal vento i due proseguirono verso il Quartiere Nobile e quando arrivarono all'inizio della Strada dell'Elmo Dorato si ripararono per un momento sotto il colonnato della fontana.
    «Sei certo di sentirti all'altezza? Come va la tua schiena?» chiese Seregil, chinandosi a bere dalla fontana al centro del colonnato.
    Erano trascorse meno di due settimane da quando Alec aveva tirato fuori la Principessa Klia dalla stanza in fiamme nelle segrete della fortezza della traditrice Kassarie. I maleodoranti unguenti del drysiano Valerius avevano operato la loro magia risanante ma quella notte mentre si vestivano Seregil aveva notato che la pelle sulla schiena del ragazzo appariva ancora delicata in alcuni punti... anche se Alec non lo avrebbe mai ammesso per non ri-schiare di essere rimandato a casa.
    «Sto bene» ribadì infatti. «Quelli che sento battere sono i tuoi denti, non i miei» aggiunse, scuotendo il mantello bagnato e avvolgendoselo di nuovo intorno alle spalle. «Vieni, se continuiamo a muoverci avremo meno freddo.»
    «Là dentro saremmo molto più al caldo!» esclamò Seregil, guardando con nostalgia in direzione della Via delle Luci.
    Erano trascorsi dei mesi dall'ultima volta che aveva visitato una di quelle eleganti case di piacere, e il pensiero di tanti letti caldi e profumati occupati da corpi altrettanto caldi e profumati gli fece avvertire ancor più inten-samente il freddo.
    Invisibile nell'ombra Alec non replicò ma si agitò a disagio, perché la sua giovinezza solitaria lo aveva reso eccessivamente guardingo di fronte a simili argomenti. Una reticenza del genere, eccessiva anche per un Dalnano, era incomprensibile per Seregil ma per un senso di rispetto nei confronti della loro amicizia lui si sforzava di non prendere in giro il ragazzo al riguardo.
    Le eleganti vie del Quartiere Nobile risultarono deserte, le grandi case e le ville erano buie dietro le mura dei loro giardini e le lanterne dondolavano stridendo sui loro sostegni, spente dalla bufera.
    La casa nella Strada delle Tre Fanciulle era una vasta villa circondata da un alto muro. Mentre Alec badava che non arrivassero delle pattuglie di guardie, Seregil lanciò l'uncino e agganciò saldamente la fune alla pietra; il rumore della tempesta nascose qualsiasi suono da loro prodotto nell'inerpi-carsi lungo la corda e nell'oltrepassare il muro per poi lasciarsi cadere su alcuni cespugli e addentrarsi nel giardino.
    Dopo una breve ricerca Alec trovò una piccola finestra sprangata posta in alto sulla parete posteriore della casa; arrampicatosi lungo una grondaia, si servì del coltello per sollevare il chiavistello e sbirciò all'interno.
    «Dall'odore sembra un magazzino» sussurrò.
    «Allora entra. Ti raggiungo subito.»
    Alec sgusciò oltre il davanzale a piedi in avanti, scomparendo all'interno senza il minimo rumore, e mentre oltrepassava a sua volta la finestra Seregil avvertì un odore di patate e di mele nel calarsi su quello che sembrava un sacco di cipolle. Trovò nell'oscurità la spalla di Alec e insieme cercarono a tentoni la porta, poi Seregil sollevò il chiavistello e sbirciò nelle cavernose profondità della cucina che si allargava oltre la soglia.
    I carboni che ancora ardevano nel focolare emanavano un chiarore suffi-ciente a illuminare due servi che dormivano per terra sui loro pagliericci, e un sonoro russare giungeva dalle ombre profonde di un vicino angolo; sulla destra c'era un'arcata aperta e Seregil si diresse da quella parte in punta di piedi dopo aver battuto un colpetto sul braccio di Alec.
    L'arco dava accesso ad un corridoio per la servitù. Salita una stretta scala i due percorsero una successione di corridoi alla ricerca dello studio privato di Lord Decian senza però riuscire a trovarlo, poi salirono al piano supe-riore e là si arrischiarono infine ad accendere una pietra luminosa, scher-mandola adeguatamente.
    Il fievole chiarore permise loro di vedere che quei nobili lasciavano le scarpe fuori della porta della camera da letto perché un servo le prelevasse e le pulisse. Dando di gomito al compagno, Seregil accennò il segno che significava "fortuna", perché quel nobile aveva una sola figlia e non sarebbe stato quindi difficile trovare le scarpe di una ragazza di quindici anni.
    Un paio di eleganti stivaletti spiccavano infatti davanti ad una porta all'estremità del corridoio, ma un paio di robuste scarpe sistemate accanto ad essi avvertiva che la giovane donna non dormiva sola.
    Soffocando un sogghigno, Seregil rifletté che Alec stava andando incon-tro ad un lavoro più complesso di quanto si fosse aspettato.
    Provando la maniglia con dita leggere, Alec scoprì che la porta non era sbarrata. Quella notte la consegna spettava a lui come ulteriore forma di addestramento nelle arti del Gatto, e per quanto assai meno pericoloso dell'incarico che avevano svolto di recente per Nysander, quel lavoro ri-chiedeva comunque una raffinatezza molto maggiore e lui era ansioso di dimostrare la propria abilità.
    Riposta la pietra luminosa nel rotolo degli attrezzi, trasse un profondo respiro e abbassò la maniglia. All'interno una lampada ardeva bassa accanto al letto le cui cortine aperte gli permisero di vedere una ragazza molto giovane che dormiva sul lato vicino alla porta, girata verso la luce; accanto a lei c'era una forma più massiccia, forse quella della madre o della balia, che si agitava con fare inquieto sotto lo spesso copriletto.
    Avvicinatosi di soppiatto al letto Alec tirò fuori il pegno, una minuscola pergamena infilata in un anello d'oro da uomo. Se fosse dipeso da lui, si sarebbe limitato a posarlo sul comodino e ad andarsene, ma le istruzioni impartite da Lord Phyrien erano molto precise e prevedevano che l'anello fosse lasciato sul cuscino della sua amata. Chinandosi sulla ragazza, Alec posò quindi l'anello dov'era stato richiesto e sentì troppo tardi il brusco sussulto di Seregil, contemporaneamente al quale l'anello rotolò lungo la curva del cuscino e colpì la ragazza sulla guancia, accanto alla bocca.
    Due occhi castani si spalancarono con aria sorpresa, ma per fortuna lei vide l'anello prima di avere il tempo di lanciare un grido e la sua aria spa-ventata cedette subito il posto ad un'espressione di silenziosa gioia quando scambiò la forma indistinta del giovane per quella del suo innamorato.
    «Oh, Phyrien, quanto sei audace!» sussurrò, scoccando una rapida oc-chiata alla donna che le dormiva accanto, poi afferrò la mano di Alec e la trasse con gentile insistenza sotto le coltri.
    Alec arrossì violentemente al riparo del cappuccio, perché come la mag-gior parte degli Skalani la ragazza dormiva nuda. Nonostante l'imbarazzo non osò però opporre resistenza perché questo avrebbe destato dei sospetti e probabilmente avrebbe scosso tanto il letto da svegliare l'altra sua occu-pante.
    «Sei così freddo» sussurrò la ragazza, ridacchiando e spingendo la sua mano ancora più in basso. «Baciami, mio coraggioso amore, ed io ti scal-derò.»
    Trattenendo il cappuccio con la mano libera Alec le sfiorò affrettatamente le labbra con le proprie, poi indicò con un gesto di avvertimento l'altra donna e la ragazza infine lo lasciò andare con aria imbronciata, nascon-dendo l'anello sotto il guanciale mentre Alec spegneva la lampada con il cuore che gli martellava e tornava in tutta fretta nel corridoio.
    «Seregil, io...» accennò a sussurrare, ma il suo compagno troncò quelle scuse sul nascere afferrandolo per un braccio e trascinandolo nella direzione da cui erano giunti.
    Dannazione, imprecò fra sé Alec, una semplice consegna e guarda che pasticcio ho combinato!
    Aspettandosi un allarme da un momento all'altro i due raggiunsero in fretta la cucina e sgusciarono all'esterno attraverso la finestra del magazzino; anche fuori Seregil continuò a mantenere un implacabile silenzio mentre scalava il muro per poi spiccare la corsa lungo la strada; nel seguirlo, Alec giunse alla cupa conclusione di essersi coperto di vergogna ai suoi occhi.
    A tre strade di distanza dalla villa Seregil infine si arrestò bruscamente e lo trascinò in un vicolo per poi chinarsi con le mani puntellate sulle ginoc-chia come se stesse cercando di riprendere fiato: preparato com'era a subire una predica, Alec impiegò qualche momento a rendersi conto che il compagno invece stava ridendo.
    «Per gli Attributi di Bilairy, Alec!» esclamò Seregil, continuando a ride-re. «Pagherei cento sesterzi per aver visto la tua faccia quando quell'anello è rotolato, e poi quando lei ha cercato di tirarti nel suo letto...»
    «Sono stato così stupido» gemette Alec. «Avrei dovuto immaginare che l'anello sarebbe rotolato.»
    «Forse, ma queste sono cose che succedono» replicò Seregil, asciugan-dosi le lacrime causate dal troppo ridere. «Non so quante volte a me è capi-tato un incidente del genere, e quello che conta è come si rimedia, cosa che tu hai fatto egregiamente. "Impara e vivi", come dico sempre.»
    Sollevato, Alec si avviò con lui verso casa, ma prima che avessero per-corso un isolato Seregil ricominciò a ridere.
    «Baciami, mio coraggioso amante» gemette in falsetto, appoggiandosi pesantemente alla spalla di Alec. «Io ti scalderò!» E si allontanò ridendo.
    Esasperato, Alec si rese conto che avrebbe sentito parlare ancora degli eventi di quella sera.

    Tornati al Galletto prelevarono uno spuntino dalla dispensa di Thryis e salirono la scala nascosta che portava al secondo piano, dove i simboli protettivi scintillarono appena quando Seregil sussurrò la parola d'ordine; una volta in cima alle scale attraversarono la soffitta gelida per raggiungere il loro alloggio.
    L'ingombro salotto conservava ancora il calore del fuoco serale; gettato il mantello sulla statua di una sirena che si trovava vicino alla porta, Alec si liberò anche degli abiti bagnati mentre attraversava la stanza diretto al suo letto che era nell'angolo vicino al camino.
    Osservandolo, Seregil si concesse un lieve sorriso, riflettendo che il no-tevole... e a suo parere eccessivo... pudore del ragazzo si era piuttosto ri-dotto durante i mesi trascorsi da quando si erano incontrati, anche se Alec gli volse le spalle nel togliersi i calzoni di cuoio per infilarsi una lunga camicia: sedicenne, il ragazzo gli somigliava molto nel fisico alto e snello e nella carnagione chiara... allontanando quel pensiero, Seregil s'impegnò a vagliare un mucchio di corrispondenza accumulato sul tavolo mentre Alec tornava a voltarsi verso di lui.
    «Per domani non abbiamo in programma niente di particolare, vero?» chiese, staccando un morso da uno dei pasticci di carne che avevano sot-tratto dalla dispensa.
    «Nulla di pressante» rispose Seregil, avviandosi verso la sua stanza con un enorme sbadiglio, «e non intendo svegliarmi prima di mezzogiorno. Buona notte.»
    Con l'ausilio di una pietra di luce attraversò il caos di libri, casse e altri oggetti sparsi sul pavimento per raggiungere l'ampio letto dai tendaggi verdi addossato alla parete di fondo della piccola stanza, e dopo essersi tolto gli abiti fradici si infilò fra le lenzuola immacolate con un gemito di soddisfazione. Subito Ruetha apparve da un angolo della stanza con un sonoro gorgoglio, chiedendo di essere ammessa sotto le coltri.
    Nell'accarezzare distrattamente la gatta, Seregil rifletté che nel complesso quello era stato un anno molto faticoso, soprattutto durante gli ultimi mesi. Bastava considerare quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visitato la Via delle Luci per rendersi conto del subbuglio in cui era stata gettata la sua vita.
    Oh, bene, adesso è arrivato l'inverno e anche se ci sarà sempre lavoro sufficiente a tenerci impegnati avremo comunque tempo in abbondanza per godere dei piaceri offerti dalla città. Tutto considerato, ci siamo meritati un po' di respiro.
    Immaginando i mesi nevosi e tranquilli che si stendevano davanti a loro, scivolò nel sonno con espressione appagata...
    ... soltanto per svegliarsi di lì a poco con un sussulto da un incubo in cui si vedeva precipitare nel buio, sentendosi echeggiare negli orecchi l'urlo terrorizzato di Alec mentre entrambi cadevano sempre più in basso, oltre le mura della fortezza di Kassarie e verso l'abisso sottostante.
    Aprendo gli occhi con un sussulto, fu al tempo stesso sollevato e irritato di trovarsi accasciato... e nudo... su una delle poltrone del salotto di Ny-sander.
    Naturalmente non c'era bisogno di chiedere come fosse arrivato li, perché il senso di nausea dovuto ad un incantesimo di traslocazione era una spiegazione sufficiente. Allontanandosi dagli occhi i lunghi capelli scuri fissò il mago con aria accigliata e infelice.
    «Perdonami per averti portato qui in maniera tanto brusca, mio caro ra-gazzo» si scusò Nysander, porgendogli una veste e una fumante tazza di tè.
    «Suppongo che ci sia una valida ragione» borbottò Seregil, sapendo che doveva essercene una se Nysander lo aveva assoggettato di nuovo alla ma-gia tanto presto dopo avergli imposto il cambiamento di forma.
    «Senza dubbio. Avevo cercato già in precedenza di portarti qui ma tu ed Alec eravate impegnati a derubare qualcuno» rispose Nysander, versandosi del tè e occupando la sua abituale poltrona, dall'altra parte del focolare. «Ho dato soltanto una rapida occhiata... avete avuto successo?»
    «Più o meno» rispose Seregil. Era evidente che Nysander non aveva nessuna fretta di fornire spiegazioni ma era anche chiaro che stava lavo-rando a qualcosa perché la corta barba grigia era sporca d'inchiostro vicino alla bocca e lui indossava le vecchie e logore vesti che usava quando do-veva lavorare per tutta la notte; circondato dalla splendida collezione di libri e di oggetti presenti nella stanza, lui sembrava un povero erudito che fosse entrato in quel posto per errore.
    «Ho notato che Alec ha un aspetto migliore» osservò Nysander.
    «Sta guarendo, ma sono preoccupato per i suoi capelli. Devo renderlo presentabile in tempo per la Festa di Sakor.»
    «Sii grato che non ne sia uscito peggio di così. Da quello che mi hanno detto Klia e Micum mi pare che sia fortunato ad essere vivo. A proposito, prima che mi dimentichi, ho qui qualcosa per voi due da parte di Klia e della regina» disse il mago, consegnando a Seregil due sacchetti di velluto. «Naturalmente un ringraziamento pubblico è impossibile, ma entrambe desideravano esprimere lo stesso la loro gratitudine. La sacca verde è per te.»
    Seregil aveva già ricevuto altre volte ricompense del genere. Aspettandosi un altro oggetto o un gioiello di qualche tipo aprì la piccola sacca di velluto, e ciò che trovò al suo interno lo fece ammutolire per la sorpresa: era un anello, molto familiare, con un grosso rubino che scintillò come una fiamma nella pesante montatura d'argento aurënfaie quando lui lo accostò al fuoco per vederlo meglio.
    «Per la Luce di Illior, Nysander, questo è uno degli anelli che ho tolto dal cadavere di Corruth i Glamien» sussultò.
    «Era un consanguineo per te come per Idrilain» rispose il mago, proten-dendosi a stringergli la mano. «Lei ha ritenuto che fosse una giusta ricom-pensa per l'aiuto che hai dato a risolvere il mistero della sua scomparsa e spera che un giorno lo porterai con onore fra il tuo popolo.»
    «Ringraziala da parte mia» rispose Seregil, riponendo con reverenza l'a-nello nella sacca. «Di certo però non mi hai tirato fuori dal letto con la magia per questo.»
    «No» ammise il mago, ridacchiando. «Devo affidarti un compito che ti può interessare, ma prima che ti spieghi di cosa si tratta devo porti delle condizioni. Se non le accetterai ti rimanderò nel tuo letto cancellandoti dalla mente il ricordo di questo incontro.»
    «Deve trattarsi di un incarico notevole» commentò Seregil, sorpreso. «Perché non hai portato qui anche Alec?»
    «Fra poco ti spiegherò anche questo, ma non intendo dire nulla finché non avrai accettato le mie condizioni.»
    «Ottimo. Quali sono?»
    «In primo luogo non devi porre domande senza il mio permesso.»
    «Perché no?»
    «A cominciare da ora» precisò Nysander.
    «Oh, d'accordo. Che altro?»
    «In secondo luogo dovrai mantenere il segreto più assoluto. Nessuno deve essere informato di questo, soprattutto Alec e Micum. Mi giuri di non dire loro nulla?»
    Seregil lo fissò in silenzio per un momento. Ultimamente tenere segreto qualcosa ad Alec non era più molto facile, ma d'altro canto una cosa tanto misteriosa non poteva che risultare interessante.
    «D'accordo, hai la mia parola» assentì infine.
    «Devi giurarlo» insistette Nysander, cupo in volto.
    Scuotendo il capo, Seregil protese la mano sinistra con il palmo all'insù.
    «Asurit betuh dös Aura Elustri kamar sösui Seregil Korit Solun Meringil Bôkthersa. E giuro anche sul mio onore di Osservatore. È sufficiente?»
    «Sai che non t'imporrei mai condizioni del genere senza un valido moti-vo» lo rimproverò il mago, scuotendo il capo.
    «Perché è tanto importante che Alec e Micum non ne sappiano nulla?»
    «Perché se tu dovessi lasciarti sfuggire il minimo dettaglio di quanto sto per dirti dovrei uccidervi tutti.»
    Anche se pronunciate con calma, quelle parole scossero profondamente Seregil perché conosceva Nysander da troppo tempo per non rendersi conto della sua assoluta sincerità. Per un momento ebbe l'impressione di avere di fronte uno sconosciuto, poi di colpo ogni pezzo dell'enigma andò al suo posto e lui si protese in avanti di scatto, rovesciandosi il tè bollente sulle ginocchia per l'eccitazione.
    «Si tratta di questo, vero?» domandò, battendosi il petto dove, nascosta sotto la magia oscurante di Nysander, c'era l'impronta lasciata dal disco di legno che lui aveva rubato al Duca Mardus a Wolde e che per poco non gli era costato la vita. «Quando ti ho detto di aver mostrato un disegno di que-st'impronta all'Oracolo di Illior ti sei fatto così pallido che ho temuto che svenissi.»
    «Adesso forse capisci la causa della mia angoscia» replicò Nysander, cupo.
    «Per gli Attributi di Bilairy!» esclamò Seregil, sentendo riaffiorare l'ansia causatagli da quella conversazione a cui nessuno dei due aveva più accennato. «E lo avresti fatto davvero!»
    «Ti garantisco che non mi sarei mai perdonato» sospirò Nysander, «ma mi sarei anche infuriato con te per avermi costretto ad un atto del genere. Ricordi cosa ti ho detto allora?»
    «Che dovevo pregare di non scoprire mai cosa fosse veramente quel di-sco?»
    «Esatto, e per poter svolgere questo nuovo compito dovrai accettare che quella è la sola risposta che ti posso dare al riguardo.»
    «La stessa vecchia risposta, vero?» commentò Seregil, accasciandosi cupo sulla poltrona. «E se rifiutassi? Se mi rifiutassi di fare qualsiasi cosa senza sapere prima tutto quanto?»
    «In quel caso rimuoverei dalla tua mente ogni ricordo di questa conver-sazione e ti rimanderei a casa» ribatté Nysander, scrollando le spalle. «Di certo ci sono altri in grado di aiutarmi.»
    «Come Thero, devo supporre?» scattò Seregil, prima di riuscire a con-trollarsi.
    «Oh, per...»
    «Lui conosce il Grande Segreto?» insistette Seregil, tormentato dall'antica gelosia. L'ultima cosa che desiderava era scoprire che il giovane assistente del mago ne sapeva più di lui su quella storia.
    «Lui ne sa meno di te» garantì Nysander, esasperato. «Allora, vuoi questo incarico oppure no?»
    «D'accordo» assentì Seregil, con un ringhio di frustrazione. «Di cosa si tratta?»
    «Tanto per cominciare dimmi che ne pensi di questa» rispose il mago, ti-rando fuori dalla manica un pezzo di cartapecora e porgendoglielo.
    «Sembra una pagina di un libro» rifletté Seregil. Il pezzo di cartapecora era stato scurito dal tempo o dalle intemperie; sfregandone un angolo fra pollice e indice, lui si annusò le dita ed esaminò quindi lo scritto vero e proprio prima di affermare: «È vecchia, ha almeno quattro o cinque secoli. All'inizio è stata conservata senza riguardi ma in seguito l'hanno preservata con cura. Inoltre non è fatta con la pelle di un capretto ma con pelle umana o aurënfaie.» Interrompendosi di nuovo, esaminò i buchi lasciati da un ago sul bordo sinistro del foglio. «I fori sono ancora intatti, il che indica che è stata rimossa dal libro con estrema cura e non strappata, anche se quando è successo la pagina era già stata danneggiata dall'umidità. A giudicare dal colore direi che è stata immersa in seguito nel veleno, ma è evidente che esso è stato neutralizzato altrimenti non la potremmo maneggiare.»
    «Infatti» annuì Nysander.
    Seregil però non lo sentì neppure e continuò a riflettere tormentandosi distrattamente una ciocca di capelli.
    «Dunque, la scrittura è in ansuit antico, un linguaggio che ha avuto ori-gine fra i popoli delle colline del nord di Plenimar. Da questo possiamo dedurre che l'autore fosse originario di quella regione o uno studioso di lingue.»
    «Come te, mio caro ragazzo. Posso supporre che tu sia in grado di leggere il testo?»
    «Hmm... sì. Sembrano i vaneggiamenti di un profeta folle, anche se sono poetici. "Guarda con me, mio amato, mentre i demoni spogliano la vite dei suoi frutti." Poi c'è qualcosa che riguarda i cavalli e "La fiamma dorata va sposa all'oscurità. Il Bellissimo viene avanti e accarezza le ossa della casa..." No, non è giusto, sono le "ossa del mondo"» si corresse Seregil, poi andò al tavolo e si avvicinò alla lampada, aggiungendo: «Come pensavo: credevo che ci fossero degli errori negli accenti ma non si tratta di questo, bensì di un linguaggio cifrato.»
    «Vuoi provare a decifrarlo?» chiese Nysander, passandogli una tavoletta incerata e uno stilo.
    Rileggendo il documento, Seregil trovò sedici parole con l'accento sba-gliato e quando elencò soltanto le lettere accentate esse ammontarono a ventinove.
    «Non è una cosa facile» borbottò, tamburellando con lo stilo contro il proprio mento.
    «È più difficile di quanto immagini» affermò Nysander. «Il mio maestro, Arkoniel, ed io abbiamo impiegato oltre un anno a scoprire la chiave. Devo però precisare che stavamo lavorando anche ad altre cose.»
    «Vuoi dire che hai già decifrato il codice?» gemette Seregil, gettando lo stilo sul tavolo.
    «Oh, sì. Il tuo incarico non è questo, ma sapevo che avresti preferito la-vorare sull'originale per poi giungere da lì alle tue conclusioni.»
    «Allora come funziona il codice?»
    Sedendosi al tavolo Nysander prese la tavoletta e cominciò a scrivere in fretta.
    «Tanto per cominciare, le lettere accentate creano una frase priva di sen-so, un fatto che abbiamo scoperto dopo un tempo lunghissimo. La chiave è data da una combinazione della sillabazione e dei casi. Come sai, l'ansuit antico è una lingua che ha cinque casi, ma soltanto tre... nominativo, geni-tivo e dativo... sono stati usati per il codice. Per esempio, guarda le parole che compongono l'espressione "del mondo".»
    «Sì, a ingannarmi è stato l'accento sbagliato» annuì Seregil, pensoso. «Dovrebbe essere sulla seconda vocale dell'ultima sillaba, non sulla prima.»
    «Esattamente. Dal momento che "mondo" è usato al genitivo e che l'ac-cento sbagliato appare sulla terzultima sillaba, si usa l'ultima lettera di quella parola; se il caso è lo stesso ma l'accento è sulla penultima sillaba, si prende la prima lettera.»
    «Non sapevo che fossi un tale esperto di grammatica» commentò Seregil, con un sorriso.
    «Nel corso dei secoli s'impara qualcosa qua e là» replicò Nysander, permettendosi di apparire compiaciuto. «È un sistema davvero perfetto che impedisce una scoperta casuale del messaggio. Al nominativo, un accento sbagliato sulla terzultima sillaba indica che si deve prendere l'ultima lettera della parola che segue quella con l'accento sbagliato, e così via; al dativo contano invece soltanto gli accenti sulla penultima sillaba, e il risultato ultimo sono soltanto quindici lettere che, disposte nel modo giusto... tieni lo sguardo su ciò che scrivo... disposte nel modo giusto si pronunciano "argucth chthon hrig".»
    «Sembra che tu ti stia schiarendo la gola...» cominciò Seregil, ma le pa-role gli si spensero sulle labbra quando vide lo scritto presente sulla pagina vorticare per un movimento improvviso; dopo alcuni secondi esso scom-parve del tutto, lasciando al proprio posto un disegno circolare che sem-brava una stella ad otto punte e che copriva la maggior parte della pagina.
    «Un palinsesto magico?» sussultò Seregil.
    «Proprio così. Guarda però con maggiore attenzione. Avvicinando la cartapecora alla lampada, Seregil emise un fischio sommesso nel vedere che l'intero disegno era composto da parole scritte con una calligrafia pic-colissima.»
    «Il nostro folle profeta deve aver usato una penna di colibrì» commentò.
    «Riesci a leggere cosa c'è scritto?»
    «Non so... le lettere sono così affastellate. La scrittura è il Konic, quella usata dagli scribi di corte all'epoca dei primi Gerofanti, ma la lingua è di-versa, come se lo scrittore avesse voluto appropriarsi dei suoni di una lin-gua e dell'alfabeto di un'altra. Sì, è proprio ciò che ha fatto, quell'astuto bastardo. Di conseguenza, dal punto di vista fonetico...»
    Borbottando sottovoce, Seregil lesse lentamente le parole minuscole e ammassate, e dopo circa mezz'ora sollevò lo sguardo con un sorriso di trionfo.
    «È dravniano puro! Nysander, questo deve essere dravniano.»
    «Dravniano?»
    «I Dravniani sono una popolazione tribale sparsa nelle vallate glaciali della Catena degli Ashek, a nord di Aurënen. Io non sono più stato lassù da quando ero ragazzo, ma ho studiato la loro lingua. I Dravniani sono abilis-simi ad intessere saghe e leggende, e anche se non hanno una loro scrittura questo testo cattura i suoni della loro lingua. Di certo chi lo ha scritto era uno studioso di lingue poco note, e una volta decifrato il testo non è altro che il ripetersi delle stesse parole in tutto il disegno. Inoltre il tutto è scritto con il sangue... probabilmente quello dell'autore stesso, dato che è stato tanto folle da creare una cosa del genere.»
    «Può darsi» interruppe Nysander. «Puoi decifrare cosa dice?»
    «Ah! Allora si tratta di questo» esclamò Seregil, gongolante di trionfo. «Tu non sei in grado di leggerlo!»
    «Vorrei ricordarti il giuramento che hai pronunciato...» cominciò Ny-sander, assumendo un'aria sofferta.
    «Lo so, lo so» annuì Seregil, con un sogghigno compiaciuto. «Dopo tutte le restrizioni che mi hai imposto credo però di essermi guadagnato il diritto di gongolare un poco. La frase dice soltanto: "Pietra dentro il ghiaccio dentro la pietra dentro il ghiaccio. Corna di cristallo sotto corna di pietra." O viceversa. Non c'è modo di stabilire quale sia la prima riga, e non capisco perché sia ricorso a misure così complesse per nascondere un testo tanto oscuro.»
    «È tutt'altro che oscuro!» esclamò però Nysander, battendogli un colpetto sulla spalla e prendendo a camminare avanti e indietro con fare eccitato. «Il documento comincia con l'ansuit antico, un'arcaica lingua di Plenimar antecedente ai primi insediamenti dei Gerofanti, e la frase apparentemente priva di senso "argucth chthon hrig" serve a far apparire il testo nascosto, che a sua volta è scritto nell'alfabeto della corte dei Gerofanti, che a quel tempo risiedeva sull'isola di Kouros, ma usa la lingua di un'oscura tribù delle montagne meridionali, oltre il mare di Osiat e vicino ad Aurënen. Io avevo sospettato tutto questo ma tu, mio caro ragazzo, hai trovato gli indizi conclusivi. Si tratta di un palinsesto davvero incredibile!»
    «Le tribù dravniane» osservò Seregil, che intanto aveva continuato a ri-flettere, «vivono nelle valli più elevate della catena degli Ashek e costrui-scono i loro villaggi lungo il limitare dei ghiacciai. La frase "Pietra dentro il ghiaccio dentro la pietra dentro il ghiaccio" e la faccenda delle coma di pietra mi ricordano una storia che erano soliti raccontare i mercanti che si spingevano fra le montagne, qualcosa in merito ad un posto che c'era lassù, dove i demoni danzavano sulla neve per andare a bere il sangue dei viventi. Quel posto era chiamato la Valle delle Corna.»
    «La tua mente sembra il nido di una gazza, mio caro ragazzo» dichiarò Nysander con un ampio sorriso, arrestandosi davanti a lui. «Non si sa mai quale nuovo tesoro ne possa cadere fuori.»
    «Se la Valle delle Corna esiste davvero, allora questo non è soltanto un complesso enigma: è una mappa» aggiunse Seregil, battendo un dito sulla cartapecora sporca.
    «E forse non è l'unica» replicò Nysander. «Secondo recenti informazioni giunte da Plenimar, parecchie spedizioni sono state inviate ad ovest verso lo Stretto di Bal. Noi non possiamo sapere quale sia il loro scopo, ma la penisola di Ashek si trova in quella direzione.»
    «In questo periodo dell'anno?» ribatté Seregil, scuotendo il capo, in quanto attraversare lo Stretto di Bal significava dirigersi verso la costa meridionale del mare di Osiat, un posto di frangenti pericolosi e di coste difficili da avvicinare anche con il clima favorevole e del tutto infide d'in-verno. «Qualsiasi cosa sia questa "pietra dentro il ghiaccio", pare quindi che i Plenimariani siano decisi a trovarla. Devo dedurre che tu non voglia vederla finire nelle loro mani?»
    «E spero che mi aiuterai ad impedirlo.»
    «Mi sarebbe utile sapere cosa sto cercando, sempre che questo non com-porti la rivelazione di altri sacri misteri.»
    «Pare che si tratti di una corona di qualche tipo» rispose Nysander. «La cosa più importante è che è dotata di poteri simili a quelli del disco di le-gno, che tu hai già sperimentato.»
    «Allora questa volta baderò a non portarla addosso» commentò Seregil, contraendo le labbra in una smorfia. «Se però le tue informazioni sono esatte, i Plenimariani hanno un notevole vantaggio rispetto a noi.»
    «Forse no. Il fatto che abbiano mandato parecchie spedizioni lascia sup-porre che non sappiano con esattezza dove si trovi l'oggetto in questione, mentre noi ne abbiamo appena individuato la posizione. Inoltre io posso farti arrivare là molto più in fretta di loro.»
    «Oh, no!» esclamò Seregil, sbiancando in volto. «Non puoi... una traslo-cazione da qui agli Ashek? Nysander, vomiterò per ore!»
    «Mi dispiace, ma è una questione troppo importante per tentare qualsiasi altra cosa. Rimane il problema di Alec... credi che solleverà difficoltà per essere lasciato a casa?»
    «Riuscirò a inventare una spiegazione» rispose Seregil, passandosi una mano fra i capelli. «Quando devo partire?»
    «Domani entro mezzogiorno, se puoi farcela.»
    «Penso di sì. Di cosa avrò bisogno, a parte il normale equipaggiamento?»
    «Che ne dici di recitare il ruolo di un mago degli Aurënfaie?»
    «Sembra divertente» ammise Seregil, «a patto di non dover fare affida-mento sul mio talento per la magia.»
    «Oh, povero me, no di certo!» rise Nysander. «Ti fornirò l'attrezzatura necessaria per renderti credibile e tutto ciò che ti servirà per portare a ter-mine il tuo compito. Sapevo che non mi saresti venuto meno, Seregil» ag-giunse, posando una mano sulla spalla dell'amico.
    «Scommetto che adesso sei contento di non avermi ucciso» ribatté Sere-gil. «Che ore sono?»
    «È quasi l'alba, credo. Purtroppo dovrò rimandarti indietro nello stesso modo in cui ti ho portato qui.»
    «Due volte in una notte? Bada allora di scaricarmi vicino ad una bacinel-la!»
     
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