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Posts written by Sil.lav

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    Copertina

    Trama:
    Mentre si profila l’ombra di un conflitto drammatico, due segreti sconvolgenti mettono a dura prova gli avventurieri più abili del regno. Seregil di Rhiminee e Alec di Kerry sono molto di più che una coppia di amici o di colleghi. Ladri, agenti segreti, un po’ esperti di magia, sono due dei più abili e inventivi avventurieri del loro tempo. Da quando, dopo averne fatto il suo adepto, Seregil ha insegnato ad Alec tutti i segreti del mestiere, insieme hanno messo a segno colpi straordinari e concluso con successo missioni apparentemente impossibili. Furti e spionaggio, travestimenti e raggiri sono il loro pane quotidiano; gli amici sono affascinati, i nemici, frastornati, li odiano. Cosa bolle in pentola, ora, che scuote fino nelle viscere il reame in cui hanno finalmente trovato asilo? Una guerra devastante si profila all’orizzonte, eppure l’attenzione di Seregil e Alec è distolta da qualcosa di ancora più grave. Il mago Nysander ha convocato Seregil per metterlo a parte di uno sconvolgente segreto, che deve essere mantenuto a qualunque costo e il cui disvelamento potrebbe causare addirittura la morte sua e di Alec. Quest’ultimo, a sua volta, comincia a intuire che una verità celata e perturbante si nasconde nel suo passato. Che ne sarà ora dei due formidabili avventurieri? Insieme a un pugno di ardimentosi compagni si troveranno ben presto catapultati al centro di un formidabile intrigo, che li obbligherà a fare ricorso a ogni loro abilità.
    Estratto del primo capitolo:

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    UNA NOTTE SFORTUNATA



    Il vento carico di nevischio soffiava dal mare, percuotendo le strade buie di Rhiminee come un enorme bambino infuriato; tegole smosse si stacca-vano e cadevano rumorosamente nelle strade e nei giardini, gli alberi spogli agitavano i rami che ticchettavano come ossa morte nella notte, e nel porto sottostante più di una nave veniva strappata dagli ormeggi per essere mandata a infrangersi contro i moli. Nella città alta come in quella bassa perfino le case di piacere avevano chiuso in anticipo i battenti.
    Due figure ammantate emersero dall'ombra di un cortile nella Strada del Pesce Azzurro e si avviarono rapide lungo la Strada del Fascio di Grano.
    «Non riesco a credere che siamo usciti con questo tempo per consegnare un dannato pegno d'amore» brontolò Alec, scuotendo la testa per allonta-nare dagli occhi i fradici capelli biondi.
    «Dobbiamo preservare la reputazione del Gatto di Rhiminee» ribatté Se-regil, tremando e invidiando ad Alec la sua nordica tolleranza al freddo. «Lord Phyrien ci ha pagati perché depositassimo stanotte l'oggetto sul cu-scino della ragazza, e inoltre voglio curiosare nella cassetta della corri-spondenza di suo padre, perché corre voce che stia manovrando per avere il posto di Vicereggente.»
    Nel parlare Seregil sorrise fra sé, compiaciuto. Per anni il misterioso ladro noto come il Gatto di Rhiminee aveva aiutato i membri delle classi cittadine più elevate a tenere in piedi i loro interminabili intrighi: tutto quello che ci voleva per avere il suo aiuto erano dell'oro e un messaggio depositato nelle mani giuste, e nessuno dei nobili aveva mai immaginato che quella spia senza volto fosse uno di loro, o che quello stato di cose fosse vantaggioso anche per il Gatto.
    Sferzati dal vento i due proseguirono verso il Quartiere Nobile e quando arrivarono all'inizio della Strada dell'Elmo Dorato si ripararono per un momento sotto il colonnato della fontana.
    «Sei certo di sentirti all'altezza? Come va la tua schiena?» chiese Seregil, chinandosi a bere dalla fontana al centro del colonnato.
    Erano trascorse meno di due settimane da quando Alec aveva tirato fuori la Principessa Klia dalla stanza in fiamme nelle segrete della fortezza della traditrice Kassarie. I maleodoranti unguenti del drysiano Valerius avevano operato la loro magia risanante ma quella notte mentre si vestivano Seregil aveva notato che la pelle sulla schiena del ragazzo appariva ancora delicata in alcuni punti... anche se Alec non lo avrebbe mai ammesso per non ri-schiare di essere rimandato a casa.
    «Sto bene» ribadì infatti. «Quelli che sento battere sono i tuoi denti, non i miei» aggiunse, scuotendo il mantello bagnato e avvolgendoselo di nuovo intorno alle spalle. «Vieni, se continuiamo a muoverci avremo meno freddo.»
    «Là dentro saremmo molto più al caldo!» esclamò Seregil, guardando con nostalgia in direzione della Via delle Luci.
    Erano trascorsi dei mesi dall'ultima volta che aveva visitato una di quelle eleganti case di piacere, e il pensiero di tanti letti caldi e profumati occupati da corpi altrettanto caldi e profumati gli fece avvertire ancor più inten-samente il freddo.
    Invisibile nell'ombra Alec non replicò ma si agitò a disagio, perché la sua giovinezza solitaria lo aveva reso eccessivamente guardingo di fronte a simili argomenti. Una reticenza del genere, eccessiva anche per un Dalnano, era incomprensibile per Seregil ma per un senso di rispetto nei confronti della loro amicizia lui si sforzava di non prendere in giro il ragazzo al riguardo.
    Le eleganti vie del Quartiere Nobile risultarono deserte, le grandi case e le ville erano buie dietro le mura dei loro giardini e le lanterne dondolavano stridendo sui loro sostegni, spente dalla bufera.
    La casa nella Strada delle Tre Fanciulle era una vasta villa circondata da un alto muro. Mentre Alec badava che non arrivassero delle pattuglie di guardie, Seregil lanciò l'uncino e agganciò saldamente la fune alla pietra; il rumore della tempesta nascose qualsiasi suono da loro prodotto nell'inerpi-carsi lungo la corda e nell'oltrepassare il muro per poi lasciarsi cadere su alcuni cespugli e addentrarsi nel giardino.
    Dopo una breve ricerca Alec trovò una piccola finestra sprangata posta in alto sulla parete posteriore della casa; arrampicatosi lungo una grondaia, si servì del coltello per sollevare il chiavistello e sbirciò all'interno.
    «Dall'odore sembra un magazzino» sussurrò.
    «Allora entra. Ti raggiungo subito.»
    Alec sgusciò oltre il davanzale a piedi in avanti, scomparendo all'interno senza il minimo rumore, e mentre oltrepassava a sua volta la finestra Seregil avvertì un odore di patate e di mele nel calarsi su quello che sembrava un sacco di cipolle. Trovò nell'oscurità la spalla di Alec e insieme cercarono a tentoni la porta, poi Seregil sollevò il chiavistello e sbirciò nelle cavernose profondità della cucina che si allargava oltre la soglia.
    I carboni che ancora ardevano nel focolare emanavano un chiarore suffi-ciente a illuminare due servi che dormivano per terra sui loro pagliericci, e un sonoro russare giungeva dalle ombre profonde di un vicino angolo; sulla destra c'era un'arcata aperta e Seregil si diresse da quella parte in punta di piedi dopo aver battuto un colpetto sul braccio di Alec.
    L'arco dava accesso ad un corridoio per la servitù. Salita una stretta scala i due percorsero una successione di corridoi alla ricerca dello studio privato di Lord Decian senza però riuscire a trovarlo, poi salirono al piano supe-riore e là si arrischiarono infine ad accendere una pietra luminosa, scher-mandola adeguatamente.
    Il fievole chiarore permise loro di vedere che quei nobili lasciavano le scarpe fuori della porta della camera da letto perché un servo le prelevasse e le pulisse. Dando di gomito al compagno, Seregil accennò il segno che significava "fortuna", perché quel nobile aveva una sola figlia e non sarebbe stato quindi difficile trovare le scarpe di una ragazza di quindici anni.
    Un paio di eleganti stivaletti spiccavano infatti davanti ad una porta all'estremità del corridoio, ma un paio di robuste scarpe sistemate accanto ad essi avvertiva che la giovane donna non dormiva sola.
    Soffocando un sogghigno, Seregil rifletté che Alec stava andando incon-tro ad un lavoro più complesso di quanto si fosse aspettato.
    Provando la maniglia con dita leggere, Alec scoprì che la porta non era sbarrata. Quella notte la consegna spettava a lui come ulteriore forma di addestramento nelle arti del Gatto, e per quanto assai meno pericoloso dell'incarico che avevano svolto di recente per Nysander, quel lavoro ri-chiedeva comunque una raffinatezza molto maggiore e lui era ansioso di dimostrare la propria abilità.
    Riposta la pietra luminosa nel rotolo degli attrezzi, trasse un profondo respiro e abbassò la maniglia. All'interno una lampada ardeva bassa accanto al letto le cui cortine aperte gli permisero di vedere una ragazza molto giovane che dormiva sul lato vicino alla porta, girata verso la luce; accanto a lei c'era una forma più massiccia, forse quella della madre o della balia, che si agitava con fare inquieto sotto lo spesso copriletto.
    Avvicinatosi di soppiatto al letto Alec tirò fuori il pegno, una minuscola pergamena infilata in un anello d'oro da uomo. Se fosse dipeso da lui, si sarebbe limitato a posarlo sul comodino e ad andarsene, ma le istruzioni impartite da Lord Phyrien erano molto precise e prevedevano che l'anello fosse lasciato sul cuscino della sua amata. Chinandosi sulla ragazza, Alec posò quindi l'anello dov'era stato richiesto e sentì troppo tardi il brusco sussulto di Seregil, contemporaneamente al quale l'anello rotolò lungo la curva del cuscino e colpì la ragazza sulla guancia, accanto alla bocca.
    Due occhi castani si spalancarono con aria sorpresa, ma per fortuna lei vide l'anello prima di avere il tempo di lanciare un grido e la sua aria spa-ventata cedette subito il posto ad un'espressione di silenziosa gioia quando scambiò la forma indistinta del giovane per quella del suo innamorato.
    «Oh, Phyrien, quanto sei audace!» sussurrò, scoccando una rapida oc-chiata alla donna che le dormiva accanto, poi afferrò la mano di Alec e la trasse con gentile insistenza sotto le coltri.
    Alec arrossì violentemente al riparo del cappuccio, perché come la mag-gior parte degli Skalani la ragazza dormiva nuda. Nonostante l'imbarazzo non osò però opporre resistenza perché questo avrebbe destato dei sospetti e probabilmente avrebbe scosso tanto il letto da svegliare l'altra sua occu-pante.
    «Sei così freddo» sussurrò la ragazza, ridacchiando e spingendo la sua mano ancora più in basso. «Baciami, mio coraggioso amore, ed io ti scal-derò.»
    Trattenendo il cappuccio con la mano libera Alec le sfiorò affrettatamente le labbra con le proprie, poi indicò con un gesto di avvertimento l'altra donna e la ragazza infine lo lasciò andare con aria imbronciata, nascon-dendo l'anello sotto il guanciale mentre Alec spegneva la lampada con il cuore che gli martellava e tornava in tutta fretta nel corridoio.
    «Seregil, io...» accennò a sussurrare, ma il suo compagno troncò quelle scuse sul nascere afferrandolo per un braccio e trascinandolo nella direzione da cui erano giunti.
    Dannazione, imprecò fra sé Alec, una semplice consegna e guarda che pasticcio ho combinato!
    Aspettandosi un allarme da un momento all'altro i due raggiunsero in fretta la cucina e sgusciarono all'esterno attraverso la finestra del magazzino; anche fuori Seregil continuò a mantenere un implacabile silenzio mentre scalava il muro per poi spiccare la corsa lungo la strada; nel seguirlo, Alec giunse alla cupa conclusione di essersi coperto di vergogna ai suoi occhi.
    A tre strade di distanza dalla villa Seregil infine si arrestò bruscamente e lo trascinò in un vicolo per poi chinarsi con le mani puntellate sulle ginoc-chia come se stesse cercando di riprendere fiato: preparato com'era a subire una predica, Alec impiegò qualche momento a rendersi conto che il compagno invece stava ridendo.
    «Per gli Attributi di Bilairy, Alec!» esclamò Seregil, continuando a ride-re. «Pagherei cento sesterzi per aver visto la tua faccia quando quell'anello è rotolato, e poi quando lei ha cercato di tirarti nel suo letto...»
    «Sono stato così stupido» gemette Alec. «Avrei dovuto immaginare che l'anello sarebbe rotolato.»
    «Forse, ma queste sono cose che succedono» replicò Seregil, asciugan-dosi le lacrime causate dal troppo ridere. «Non so quante volte a me è capi-tato un incidente del genere, e quello che conta è come si rimedia, cosa che tu hai fatto egregiamente. "Impara e vivi", come dico sempre.»
    Sollevato, Alec si avviò con lui verso casa, ma prima che avessero per-corso un isolato Seregil ricominciò a ridere.
    «Baciami, mio coraggioso amante» gemette in falsetto, appoggiandosi pesantemente alla spalla di Alec. «Io ti scalderò!» E si allontanò ridendo.
    Esasperato, Alec si rese conto che avrebbe sentito parlare ancora degli eventi di quella sera.

    Tornati al Galletto prelevarono uno spuntino dalla dispensa di Thryis e salirono la scala nascosta che portava al secondo piano, dove i simboli protettivi scintillarono appena quando Seregil sussurrò la parola d'ordine; una volta in cima alle scale attraversarono la soffitta gelida per raggiungere il loro alloggio.
    L'ingombro salotto conservava ancora il calore del fuoco serale; gettato il mantello sulla statua di una sirena che si trovava vicino alla porta, Alec si liberò anche degli abiti bagnati mentre attraversava la stanza diretto al suo letto che era nell'angolo vicino al camino.
    Osservandolo, Seregil si concesse un lieve sorriso, riflettendo che il no-tevole... e a suo parere eccessivo... pudore del ragazzo si era piuttosto ri-dotto durante i mesi trascorsi da quando si erano incontrati, anche se Alec gli volse le spalle nel togliersi i calzoni di cuoio per infilarsi una lunga camicia: sedicenne, il ragazzo gli somigliava molto nel fisico alto e snello e nella carnagione chiara... allontanando quel pensiero, Seregil s'impegnò a vagliare un mucchio di corrispondenza accumulato sul tavolo mentre Alec tornava a voltarsi verso di lui.
    «Per domani non abbiamo in programma niente di particolare, vero?» chiese, staccando un morso da uno dei pasticci di carne che avevano sot-tratto dalla dispensa.
    «Nulla di pressante» rispose Seregil, avviandosi verso la sua stanza con un enorme sbadiglio, «e non intendo svegliarmi prima di mezzogiorno. Buona notte.»
    Con l'ausilio di una pietra di luce attraversò il caos di libri, casse e altri oggetti sparsi sul pavimento per raggiungere l'ampio letto dai tendaggi verdi addossato alla parete di fondo della piccola stanza, e dopo essersi tolto gli abiti fradici si infilò fra le lenzuola immacolate con un gemito di soddisfazione. Subito Ruetha apparve da un angolo della stanza con un sonoro gorgoglio, chiedendo di essere ammessa sotto le coltri.
    Nell'accarezzare distrattamente la gatta, Seregil rifletté che nel complesso quello era stato un anno molto faticoso, soprattutto durante gli ultimi mesi. Bastava considerare quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visitato la Via delle Luci per rendersi conto del subbuglio in cui era stata gettata la sua vita.
    Oh, bene, adesso è arrivato l'inverno e anche se ci sarà sempre lavoro sufficiente a tenerci impegnati avremo comunque tempo in abbondanza per godere dei piaceri offerti dalla città. Tutto considerato, ci siamo meritati un po' di respiro.
    Immaginando i mesi nevosi e tranquilli che si stendevano davanti a loro, scivolò nel sonno con espressione appagata...
    ... soltanto per svegliarsi di lì a poco con un sussulto da un incubo in cui si vedeva precipitare nel buio, sentendosi echeggiare negli orecchi l'urlo terrorizzato di Alec mentre entrambi cadevano sempre più in basso, oltre le mura della fortezza di Kassarie e verso l'abisso sottostante.
    Aprendo gli occhi con un sussulto, fu al tempo stesso sollevato e irritato di trovarsi accasciato... e nudo... su una delle poltrone del salotto di Ny-sander.
    Naturalmente non c'era bisogno di chiedere come fosse arrivato li, perché il senso di nausea dovuto ad un incantesimo di traslocazione era una spiegazione sufficiente. Allontanandosi dagli occhi i lunghi capelli scuri fissò il mago con aria accigliata e infelice.
    «Perdonami per averti portato qui in maniera tanto brusca, mio caro ra-gazzo» si scusò Nysander, porgendogli una veste e una fumante tazza di tè.
    «Suppongo che ci sia una valida ragione» borbottò Seregil, sapendo che doveva essercene una se Nysander lo aveva assoggettato di nuovo alla ma-gia tanto presto dopo avergli imposto il cambiamento di forma.
    «Senza dubbio. Avevo cercato già in precedenza di portarti qui ma tu ed Alec eravate impegnati a derubare qualcuno» rispose Nysander, versandosi del tè e occupando la sua abituale poltrona, dall'altra parte del focolare. «Ho dato soltanto una rapida occhiata... avete avuto successo?»
    «Più o meno» rispose Seregil. Era evidente che Nysander non aveva nessuna fretta di fornire spiegazioni ma era anche chiaro che stava lavo-rando a qualcosa perché la corta barba grigia era sporca d'inchiostro vicino alla bocca e lui indossava le vecchie e logore vesti che usava quando do-veva lavorare per tutta la notte; circondato dalla splendida collezione di libri e di oggetti presenti nella stanza, lui sembrava un povero erudito che fosse entrato in quel posto per errore.
    «Ho notato che Alec ha un aspetto migliore» osservò Nysander.
    «Sta guarendo, ma sono preoccupato per i suoi capelli. Devo renderlo presentabile in tempo per la Festa di Sakor.»
    «Sii grato che non ne sia uscito peggio di così. Da quello che mi hanno detto Klia e Micum mi pare che sia fortunato ad essere vivo. A proposito, prima che mi dimentichi, ho qui qualcosa per voi due da parte di Klia e della regina» disse il mago, consegnando a Seregil due sacchetti di velluto. «Naturalmente un ringraziamento pubblico è impossibile, ma entrambe desideravano esprimere lo stesso la loro gratitudine. La sacca verde è per te.»
    Seregil aveva già ricevuto altre volte ricompense del genere. Aspettandosi un altro oggetto o un gioiello di qualche tipo aprì la piccola sacca di velluto, e ciò che trovò al suo interno lo fece ammutolire per la sorpresa: era un anello, molto familiare, con un grosso rubino che scintillò come una fiamma nella pesante montatura d'argento aurënfaie quando lui lo accostò al fuoco per vederlo meglio.
    «Per la Luce di Illior, Nysander, questo è uno degli anelli che ho tolto dal cadavere di Corruth i Glamien» sussultò.
    «Era un consanguineo per te come per Idrilain» rispose il mago, proten-dendosi a stringergli la mano. «Lei ha ritenuto che fosse una giusta ricom-pensa per l'aiuto che hai dato a risolvere il mistero della sua scomparsa e spera che un giorno lo porterai con onore fra il tuo popolo.»
    «Ringraziala da parte mia» rispose Seregil, riponendo con reverenza l'a-nello nella sacca. «Di certo però non mi hai tirato fuori dal letto con la magia per questo.»
    «No» ammise il mago, ridacchiando. «Devo affidarti un compito che ti può interessare, ma prima che ti spieghi di cosa si tratta devo porti delle condizioni. Se non le accetterai ti rimanderò nel tuo letto cancellandoti dalla mente il ricordo di questo incontro.»
    «Deve trattarsi di un incarico notevole» commentò Seregil, sorpreso. «Perché non hai portato qui anche Alec?»
    «Fra poco ti spiegherò anche questo, ma non intendo dire nulla finché non avrai accettato le mie condizioni.»
    «Ottimo. Quali sono?»
    «In primo luogo non devi porre domande senza il mio permesso.»
    «Perché no?»
    «A cominciare da ora» precisò Nysander.
    «Oh, d'accordo. Che altro?»
    «In secondo luogo dovrai mantenere il segreto più assoluto. Nessuno deve essere informato di questo, soprattutto Alec e Micum. Mi giuri di non dire loro nulla?»
    Seregil lo fissò in silenzio per un momento. Ultimamente tenere segreto qualcosa ad Alec non era più molto facile, ma d'altro canto una cosa tanto misteriosa non poteva che risultare interessante.
    «D'accordo, hai la mia parola» assentì infine.
    «Devi giurarlo» insistette Nysander, cupo in volto.
    Scuotendo il capo, Seregil protese la mano sinistra con il palmo all'insù.
    «Asurit betuh dös Aura Elustri kamar sösui Seregil Korit Solun Meringil Bôkthersa. E giuro anche sul mio onore di Osservatore. È sufficiente?»
    «Sai che non t'imporrei mai condizioni del genere senza un valido moti-vo» lo rimproverò il mago, scuotendo il capo.
    «Perché è tanto importante che Alec e Micum non ne sappiano nulla?»
    «Perché se tu dovessi lasciarti sfuggire il minimo dettaglio di quanto sto per dirti dovrei uccidervi tutti.»
    Anche se pronunciate con calma, quelle parole scossero profondamente Seregil perché conosceva Nysander da troppo tempo per non rendersi conto della sua assoluta sincerità. Per un momento ebbe l'impressione di avere di fronte uno sconosciuto, poi di colpo ogni pezzo dell'enigma andò al suo posto e lui si protese in avanti di scatto, rovesciandosi il tè bollente sulle ginocchia per l'eccitazione.
    «Si tratta di questo, vero?» domandò, battendosi il petto dove, nascosta sotto la magia oscurante di Nysander, c'era l'impronta lasciata dal disco di legno che lui aveva rubato al Duca Mardus a Wolde e che per poco non gli era costato la vita. «Quando ti ho detto di aver mostrato un disegno di que-st'impronta all'Oracolo di Illior ti sei fatto così pallido che ho temuto che svenissi.»
    «Adesso forse capisci la causa della mia angoscia» replicò Nysander, cupo.
    «Per gli Attributi di Bilairy!» esclamò Seregil, sentendo riaffiorare l'ansia causatagli da quella conversazione a cui nessuno dei due aveva più accennato. «E lo avresti fatto davvero!»
    «Ti garantisco che non mi sarei mai perdonato» sospirò Nysander, «ma mi sarei anche infuriato con te per avermi costretto ad un atto del genere. Ricordi cosa ti ho detto allora?»
    «Che dovevo pregare di non scoprire mai cosa fosse veramente quel di-sco?»
    «Esatto, e per poter svolgere questo nuovo compito dovrai accettare che quella è la sola risposta che ti posso dare al riguardo.»
    «La stessa vecchia risposta, vero?» commentò Seregil, accasciandosi cupo sulla poltrona. «E se rifiutassi? Se mi rifiutassi di fare qualsiasi cosa senza sapere prima tutto quanto?»
    «In quel caso rimuoverei dalla tua mente ogni ricordo di questa conver-sazione e ti rimanderei a casa» ribatté Nysander, scrollando le spalle. «Di certo ci sono altri in grado di aiutarmi.»
    «Come Thero, devo supporre?» scattò Seregil, prima di riuscire a con-trollarsi.
    «Oh, per...»
    «Lui conosce il Grande Segreto?» insistette Seregil, tormentato dall'antica gelosia. L'ultima cosa che desiderava era scoprire che il giovane assistente del mago ne sapeva più di lui su quella storia.
    «Lui ne sa meno di te» garantì Nysander, esasperato. «Allora, vuoi questo incarico oppure no?»
    «D'accordo» assentì Seregil, con un ringhio di frustrazione. «Di cosa si tratta?»
    «Tanto per cominciare dimmi che ne pensi di questa» rispose il mago, ti-rando fuori dalla manica un pezzo di cartapecora e porgendoglielo.
    «Sembra una pagina di un libro» rifletté Seregil. Il pezzo di cartapecora era stato scurito dal tempo o dalle intemperie; sfregandone un angolo fra pollice e indice, lui si annusò le dita ed esaminò quindi lo scritto vero e proprio prima di affermare: «È vecchia, ha almeno quattro o cinque secoli. All'inizio è stata conservata senza riguardi ma in seguito l'hanno preservata con cura. Inoltre non è fatta con la pelle di un capretto ma con pelle umana o aurënfaie.» Interrompendosi di nuovo, esaminò i buchi lasciati da un ago sul bordo sinistro del foglio. «I fori sono ancora intatti, il che indica che è stata rimossa dal libro con estrema cura e non strappata, anche se quando è successo la pagina era già stata danneggiata dall'umidità. A giudicare dal colore direi che è stata immersa in seguito nel veleno, ma è evidente che esso è stato neutralizzato altrimenti non la potremmo maneggiare.»
    «Infatti» annuì Nysander.
    Seregil però non lo sentì neppure e continuò a riflettere tormentandosi distrattamente una ciocca di capelli.
    «Dunque, la scrittura è in ansuit antico, un linguaggio che ha avuto ori-gine fra i popoli delle colline del nord di Plenimar. Da questo possiamo dedurre che l'autore fosse originario di quella regione o uno studioso di lingue.»
    «Come te, mio caro ragazzo. Posso supporre che tu sia in grado di leggere il testo?»
    «Hmm... sì. Sembrano i vaneggiamenti di un profeta folle, anche se sono poetici. "Guarda con me, mio amato, mentre i demoni spogliano la vite dei suoi frutti." Poi c'è qualcosa che riguarda i cavalli e "La fiamma dorata va sposa all'oscurità. Il Bellissimo viene avanti e accarezza le ossa della casa..." No, non è giusto, sono le "ossa del mondo"» si corresse Seregil, poi andò al tavolo e si avvicinò alla lampada, aggiungendo: «Come pensavo: credevo che ci fossero degli errori negli accenti ma non si tratta di questo, bensì di un linguaggio cifrato.»
    «Vuoi provare a decifrarlo?» chiese Nysander, passandogli una tavoletta incerata e uno stilo.
    Rileggendo il documento, Seregil trovò sedici parole con l'accento sba-gliato e quando elencò soltanto le lettere accentate esse ammontarono a ventinove.
    «Non è una cosa facile» borbottò, tamburellando con lo stilo contro il proprio mento.
    «È più difficile di quanto immagini» affermò Nysander. «Il mio maestro, Arkoniel, ed io abbiamo impiegato oltre un anno a scoprire la chiave. Devo però precisare che stavamo lavorando anche ad altre cose.»
    «Vuoi dire che hai già decifrato il codice?» gemette Seregil, gettando lo stilo sul tavolo.
    «Oh, sì. Il tuo incarico non è questo, ma sapevo che avresti preferito la-vorare sull'originale per poi giungere da lì alle tue conclusioni.»
    «Allora come funziona il codice?»
    Sedendosi al tavolo Nysander prese la tavoletta e cominciò a scrivere in fretta.
    «Tanto per cominciare, le lettere accentate creano una frase priva di sen-so, un fatto che abbiamo scoperto dopo un tempo lunghissimo. La chiave è data da una combinazione della sillabazione e dei casi. Come sai, l'ansuit antico è una lingua che ha cinque casi, ma soltanto tre... nominativo, geni-tivo e dativo... sono stati usati per il codice. Per esempio, guarda le parole che compongono l'espressione "del mondo".»
    «Sì, a ingannarmi è stato l'accento sbagliato» annuì Seregil, pensoso. «Dovrebbe essere sulla seconda vocale dell'ultima sillaba, non sulla prima.»
    «Esattamente. Dal momento che "mondo" è usato al genitivo e che l'ac-cento sbagliato appare sulla terzultima sillaba, si usa l'ultima lettera di quella parola; se il caso è lo stesso ma l'accento è sulla penultima sillaba, si prende la prima lettera.»
    «Non sapevo che fossi un tale esperto di grammatica» commentò Seregil, con un sorriso.
    «Nel corso dei secoli s'impara qualcosa qua e là» replicò Nysander, permettendosi di apparire compiaciuto. «È un sistema davvero perfetto che impedisce una scoperta casuale del messaggio. Al nominativo, un accento sbagliato sulla terzultima sillaba indica che si deve prendere l'ultima lettera della parola che segue quella con l'accento sbagliato, e così via; al dativo contano invece soltanto gli accenti sulla penultima sillaba, e il risultato ultimo sono soltanto quindici lettere che, disposte nel modo giusto... tieni lo sguardo su ciò che scrivo... disposte nel modo giusto si pronunciano "argucth chthon hrig".»
    «Sembra che tu ti stia schiarendo la gola...» cominciò Seregil, ma le pa-role gli si spensero sulle labbra quando vide lo scritto presente sulla pagina vorticare per un movimento improvviso; dopo alcuni secondi esso scom-parve del tutto, lasciando al proprio posto un disegno circolare che sem-brava una stella ad otto punte e che copriva la maggior parte della pagina.
    «Un palinsesto magico?» sussultò Seregil.
    «Proprio così. Guarda però con maggiore attenzione. Avvicinando la cartapecora alla lampada, Seregil emise un fischio sommesso nel vedere che l'intero disegno era composto da parole scritte con una calligrafia pic-colissima.»
    «Il nostro folle profeta deve aver usato una penna di colibrì» commentò.
    «Riesci a leggere cosa c'è scritto?»
    «Non so... le lettere sono così affastellate. La scrittura è il Konic, quella usata dagli scribi di corte all'epoca dei primi Gerofanti, ma la lingua è di-versa, come se lo scrittore avesse voluto appropriarsi dei suoni di una lin-gua e dell'alfabeto di un'altra. Sì, è proprio ciò che ha fatto, quell'astuto bastardo. Di conseguenza, dal punto di vista fonetico...»
    Borbottando sottovoce, Seregil lesse lentamente le parole minuscole e ammassate, e dopo circa mezz'ora sollevò lo sguardo con un sorriso di trionfo.
    «È dravniano puro! Nysander, questo deve essere dravniano.»
    «Dravniano?»
    «I Dravniani sono una popolazione tribale sparsa nelle vallate glaciali della Catena degli Ashek, a nord di Aurënen. Io non sono più stato lassù da quando ero ragazzo, ma ho studiato la loro lingua. I Dravniani sono abilis-simi ad intessere saghe e leggende, e anche se non hanno una loro scrittura questo testo cattura i suoni della loro lingua. Di certo chi lo ha scritto era uno studioso di lingue poco note, e una volta decifrato il testo non è altro che il ripetersi delle stesse parole in tutto il disegno. Inoltre il tutto è scritto con il sangue... probabilmente quello dell'autore stesso, dato che è stato tanto folle da creare una cosa del genere.»
    «Può darsi» interruppe Nysander. «Puoi decifrare cosa dice?»
    «Ah! Allora si tratta di questo» esclamò Seregil, gongolante di trionfo. «Tu non sei in grado di leggerlo!»
    «Vorrei ricordarti il giuramento che hai pronunciato...» cominciò Ny-sander, assumendo un'aria sofferta.
    «Lo so, lo so» annuì Seregil, con un sogghigno compiaciuto. «Dopo tutte le restrizioni che mi hai imposto credo però di essermi guadagnato il diritto di gongolare un poco. La frase dice soltanto: "Pietra dentro il ghiaccio dentro la pietra dentro il ghiaccio. Corna di cristallo sotto corna di pietra." O viceversa. Non c'è modo di stabilire quale sia la prima riga, e non capisco perché sia ricorso a misure così complesse per nascondere un testo tanto oscuro.»
    «È tutt'altro che oscuro!» esclamò però Nysander, battendogli un colpetto sulla spalla e prendendo a camminare avanti e indietro con fare eccitato. «Il documento comincia con l'ansuit antico, un'arcaica lingua di Plenimar antecedente ai primi insediamenti dei Gerofanti, e la frase apparentemente priva di senso "argucth chthon hrig" serve a far apparire il testo nascosto, che a sua volta è scritto nell'alfabeto della corte dei Gerofanti, che a quel tempo risiedeva sull'isola di Kouros, ma usa la lingua di un'oscura tribù delle montagne meridionali, oltre il mare di Osiat e vicino ad Aurënen. Io avevo sospettato tutto questo ma tu, mio caro ragazzo, hai trovato gli indizi conclusivi. Si tratta di un palinsesto davvero incredibile!»
    «Le tribù dravniane» osservò Seregil, che intanto aveva continuato a ri-flettere, «vivono nelle valli più elevate della catena degli Ashek e costrui-scono i loro villaggi lungo il limitare dei ghiacciai. La frase "Pietra dentro il ghiaccio dentro la pietra dentro il ghiaccio" e la faccenda delle coma di pietra mi ricordano una storia che erano soliti raccontare i mercanti che si spingevano fra le montagne, qualcosa in merito ad un posto che c'era lassù, dove i demoni danzavano sulla neve per andare a bere il sangue dei viventi. Quel posto era chiamato la Valle delle Corna.»
    «La tua mente sembra il nido di una gazza, mio caro ragazzo» dichiarò Nysander con un ampio sorriso, arrestandosi davanti a lui. «Non si sa mai quale nuovo tesoro ne possa cadere fuori.»
    «Se la Valle delle Corna esiste davvero, allora questo non è soltanto un complesso enigma: è una mappa» aggiunse Seregil, battendo un dito sulla cartapecora sporca.
    «E forse non è l'unica» replicò Nysander. «Secondo recenti informazioni giunte da Plenimar, parecchie spedizioni sono state inviate ad ovest verso lo Stretto di Bal. Noi non possiamo sapere quale sia il loro scopo, ma la penisola di Ashek si trova in quella direzione.»
    «In questo periodo dell'anno?» ribatté Seregil, scuotendo il capo, in quanto attraversare lo Stretto di Bal significava dirigersi verso la costa meridionale del mare di Osiat, un posto di frangenti pericolosi e di coste difficili da avvicinare anche con il clima favorevole e del tutto infide d'in-verno. «Qualsiasi cosa sia questa "pietra dentro il ghiaccio", pare quindi che i Plenimariani siano decisi a trovarla. Devo dedurre che tu non voglia vederla finire nelle loro mani?»
    «E spero che mi aiuterai ad impedirlo.»
    «Mi sarebbe utile sapere cosa sto cercando, sempre che questo non com-porti la rivelazione di altri sacri misteri.»
    «Pare che si tratti di una corona di qualche tipo» rispose Nysander. «La cosa più importante è che è dotata di poteri simili a quelli del disco di le-gno, che tu hai già sperimentato.»
    «Allora questa volta baderò a non portarla addosso» commentò Seregil, contraendo le labbra in una smorfia. «Se però le tue informazioni sono esatte, i Plenimariani hanno un notevole vantaggio rispetto a noi.»
    «Forse no. Il fatto che abbiano mandato parecchie spedizioni lascia sup-porre che non sappiano con esattezza dove si trovi l'oggetto in questione, mentre noi ne abbiamo appena individuato la posizione. Inoltre io posso farti arrivare là molto più in fretta di loro.»
    «Oh, no!» esclamò Seregil, sbiancando in volto. «Non puoi... una traslo-cazione da qui agli Ashek? Nysander, vomiterò per ore!»
    «Mi dispiace, ma è una questione troppo importante per tentare qualsiasi altra cosa. Rimane il problema di Alec... credi che solleverà difficoltà per essere lasciato a casa?»
    «Riuscirò a inventare una spiegazione» rispose Seregil, passandosi una mano fra i capelli. «Quando devo partire?»
    «Domani entro mezzogiorno, se puoi farcela.»
    «Penso di sì. Di cosa avrò bisogno, a parte il normale equipaggiamento?»
    «Che ne dici di recitare il ruolo di un mago degli Aurënfaie?»
    «Sembra divertente» ammise Seregil, «a patto di non dover fare affida-mento sul mio talento per la magia.»
    «Oh, povero me, no di certo!» rise Nysander. «Ti fornirò l'attrezzatura necessaria per renderti credibile e tutto ciò che ti servirà per portare a ter-mine il tuo compito. Sapevo che non mi saresti venuto meno, Seregil» ag-giunse, posando una mano sulla spalla dell'amico.
    «Scommetto che adesso sei contento di non avermi ucciso» ribatté Sere-gil. «Che ore sono?»
    «È quasi l'alba, credo. Purtroppo dovrò rimandarti indietro nello stesso modo in cui ti ho portato qui.»
    «Due volte in una notte? Bada allora di scaricarmi vicino ad una bacinel-la!»
  2. .
    Certo sono poche frasi.......... ma fanno presagire tuoni e fulmini........... :papapapapapapapa:
    Grazie
  3. .
    di ORSON SCOTT CARD, io ho letto solo la saga del costruttore (già li certe scene............), ma mi fai venire voglia di leggerlo.........
  4. .

    Copertina

    Trama:
    Il suo compagno di cella, dopo averlo salvato, si era rivelato un mago, uno spadaccino e un agente segreto ma Alec di Kerry non si sarebbe mai aspettato di trovarsi al centro di un colossale intrigo! Chi volete che si curi di un giovanotto, senza titoli né fortune, accusato e arrestato ingiustamente? Non gli resta altro che meditare sulla malasorte nella sua cella buia, a meno che... A meno che il suo compagno di prigionia non si riveli un personaggio a dir poco imprevedibile! Così quando Seregil di Rhiminee decide di evadere dalla prigione, il giovane Alec di Kerry lo segue senza immaginare neanche lontanamente dove lo condurrà quella fuga. Perché Seregil non è mai esattamente o solamente ciò che sembra: ladro, aristocratico, guerriero, negromante, spia, ha un nome diverso per ogni occasione e cambia aspetto, età, perfino sesso (apparentemente) grazie ad abili mascheramenti. Già, perché Seregil è il migliore agente di un regno lontano coinvolto in un oscuro intrigo capace di fare tremare troni ed eserciti! Così quando Alec decide di diventare un apprendista di Seregil non immagina neanche lontanamente che cosa lo aspetta da quel momento in avanti. Il giovane, che di suo è solo un abile arciere, dovrà infatti studiare ogni sorta di trucco e di abilità per potere sopravvivere all'avventura straordinaria in cui si è lanciato!


    Estratto primo capitolo:
    1
    FORTUNA NELL'OMBRA

    I torturatori di Asengai erano metodici nelle loro abitudini e sospende-vano sempre la loro opera al tramonto. Nuovamente incatenato nel suo angolo della cella piena di correnti Alec girò il volto verso la rozza parete di pietra e singhiozzò fino a farsi dolere il petto, mentre un gelido vento mon-tano s'insinuava sospirando attraverso la grata della piccola finestra in alto nella parete e portava con sé il dolce profumo della neve imminente. Continuando a piangere, il ragazzo si annidò più in profondità nella paglia marcia perché per quanto la sua superficie ruvida gli sfregasse dolorosa-mente contro le escoriazioni e i lividi che gli segnavano la pelle nuda, essa era meglio di niente ed era tutto ciò che aveva.
    Era solo nella cella perché avevano impiccato il mugnaio il giorno pre-cedente e l'uomo chiamato Danker era morto durante la tortura. Alec non aveva mai incontrato quei due prima di essere catturato, ma entrambi erano stati gentili con lui e adesso stava piangendo anche per loro e per la morte orribile che avevano fatto.
    Quando le lacrime cessarono di scorrere Alec si chiese ancora una volta perché fosse stato risparmiato e perché Lord Asengai avesse raccomandato ripetutamente ai torturatori di "non segnare troppo il ragazzo". Per questo motivo non avevano usato su di lui i ferri roventi né gli avevano tagliato gli orecchi o lacerato la schiena con la frusta come avevano fatto con gli altri, ma si erano limitati a percuoterlo con abilità e a immergerlo nell'acqua fin quasi a farlo annegare mentre lui continuava a urlare la verità senza però riuscire apparentemente a convincere i suoi catturatori del fatto che si era addentrato nelle terre di quella remota tenuta di Asengai unicamente alla ricerca di pelli di gatti selvatici.
    La sola speranza che gli rimaneva era che lo uccidessero in fretta perché adesso la morte appariva come una gradita liberazione dalle ore di soffe-renza e dall'interminabile succedersi di domande che lui non capiva e a cui non sapeva come rispondere. Aggrappandosi a questo misero conforto scivolò infine in un sonno irrequieto.

    Fu svegliato qualche tempo dopo dal familiare rumore di stivali; adesso i raggi della luna filtravano attraverso la finestra e andavano a cadere sulla paglia accanto a lui, cosa che lo indusse a raggomitolarsi nella più fitta zona d'ombra dell'angolo della parete, agghiacciato dal terrore.
    A mano a mano che i passi si fecero più vicini ad essi si aggiunsero all'improvviso lo stridere di una voce acuta che gridava e imprecava e i ru-mori di una lotta, poi la porta della cella si spalancò rumorosamente e le forme scure dei due guardiani e di un prigioniero che si dibatteva si sta-gliarono per un istante sullo sfondo del chiarore delle torce accese nel cor-ridoio.
    Il prigioniero era un uomo minuto e non troppo alto che però stava lot-tando come una donnola presa in una trappola.
    «Lasciatemi andare, stupidi bruti!» stridette, in un tono furente il cui ef-fetto era però alquanto rovinato da un marcato difetto di pronuncia relativo alle sibilanti. «Io esigo di vedere il vostro signore! Come osate arrestarmi? Un onesto bardo non può dunque attraversare questa regione senza essere molestato?»
    Liberando un braccio con una contorsione sferrò quindi un pugno al guardiano alla sua sinistra ma questi, molto più massiccio di corporatura, bloccò con facilità il colpo e tornò ad immobilizzargli bruscamente l'arto.
    «Non ti agitare tanto» sbuffò, assestando al prigioniero un colpo violento su un orecchio. «Incontrerai il nostro signore anche troppo presto, e dopo desidererai non averlo fatto.»
    «Già, e prima che lui abbia finito con te ti metterai a cantare con quanto fiato hai in gola» aggiunse l'altra guardia, con una risata piena di cattiveria, accompagnando quelle parole con alcuni colpi rapidi e duri al volto e al ventre del prigioniero, le cui proteste cessarono definitivamente.
    Trascinato l'uomo fino alla parete opposta a dove si trovava Alec, le due guardie procedettero ad incatenarlo mani e piedi.
    «Che ne dici di passare un po' di tempo con quello?» commentò quindi una delle due, accennando con il pollice in direzione di Alec. «Lo porte-ranno via fra un giorno o due, quindi perché non ci divertiamo un poco finché possiamo?»
    «No. Hai sentito il padrone... ne andrà della nostra pelle se gli schiavisti non dovessero volerlo perché è troppo rovinato. Andiamo, la partita sta per cominciare.»
    Poi i due si chiusero la porta alle spalle, la chiave girò stridendo nella serratura e le voci delle guardie si allontanarono lungo il corridoio.
    Schiavisti? Pensando a quanto aveva sentito Alec si raggomitolò ancor più su se stesso nell'ombra. Nelle terre del settentrione non c'erano schiavi, ma lui aveva sentito parlare fin troppo spesso di persone rapite e portate in paesi lontani e incontro ad una sorte incerta, senza che di loro si sapesse più nulla: con la gola contratta per il panico, prese a strattonare inutilmente le proprie catene.
    «Chi c'è?» gemette il bardo, sollevando la testa.
    Alec s'immobilizzò, fissandolo con espressione guardinga. La pallida luce della luna era abbastanza intensa da permettergli di vedere che il nuovo venuto indossava gli abiti sgargianti propri del suo mestiere e cioè una tunica con una mantella a punte allungate abbinata a calzoni e fusciacca a strisce, una tenuta completata da alti e infangati stivali da viaggio. La luce lunare non era però sufficiente a illuminare il volto dello sconosciuto, an-che a causa dei lunghi capelli scuri e accuratamente arricciati che gli rica-devano sulle spalle nascondendogli i lineamenti.
    Troppo sfinito e infelice per tentare anche solo di avviare una conversa-zione, Alec si appiattì nel suo angolo senza rispondere e l'uomo parve fis-sare con attenzione lo sguardo nella sua direzione... ma prima che potesse dire qualsiasi cosa si sentirono i passi delle guardie che tornavano verso la cella. Appiattendosi sulla paglia, il bardo badò a rimanere immobile mentre le guardie trascinavano nella cella un terzo prigioniero, questa volta un tozzo e massiccio operaio che portava abiti di rozza fattura e gambali di cuoio macchiati.
    Per quanto robusto, l'uomo stava obbedendo in silenzio alle guardie con aria terrorizzata e si lasciò incatenare passivamente per i piedi alla parete vicino al bardo.
    «Ecco un altro po' di compagnia per te, ragazzo» commentò una delle guardie con un sogghigno, posando una piccola lampada in una nicchia vicino alla porta prima di andarsene. «Qualcuno che ti aiuterà a passare il tempo fino a domattina.»
    La luce della lampada si riversò su Alec, mettendo in evidenza i lividi scuri e i gonfiori che gli segnavano la pelle chiara e seminuda, coperta soltanto dai laceri resti della sua sottotunica di lino. Sentendo su di sé lo sguardo del nuovo prigioniero, Alec lo sostenne con espressione impassi-bile.
    «Per il Creatore, ragazzo! Cos'hai fatto perché ti trattassero in questo modo?»
    «Niente» replicò Alec, con voce rauca. «Hanno torturato sia me che gli altri. Loro sono morti... ieri. Che giorno è?»
    «All'alba sarà il terzo di Erasin.»
    Sentendo la testa che gli pulsava dolorosamente, Alec si domandò se davvero erano soltanto quattro giorni che si trovava in quella cella.
    «Ma per cosa ti hanno arrestato?» insistette intanto l'uomo, adocchiando il ragazzo con aria sospettosa.
    «Per spionaggio, ma non è vero! Ho cercato di spiegare...»
    «Anche a me è successo lo stesso» sospirò il contadino. «Mi hanno preso a calci, picchiato, derubato e tuttavia non hanno voluto ascoltare quello che dicevo. "Sono Morden Swiftford, sono soltanto un contadino!" ho con-tinuato a ripetere, e tuttavia eccomi qui.»
    Con un profondo gemito il bardo si sollevò a sedere e si dibatté goffa-mente nel tentativo di districarsi dalle catene; dopo alcuni momenti di con-siderevoli contorsioni riuscì infine a sistemarsi con la schiena addossata alla parete.
    «Quei bruti pagheranno cara quest'indegnità» ringhiò con voce fievole. «Pensate, sostenere che Rolan Silverleaf è una spia!»
    «Anche tu?» domandò Morden.
    «È assurdo... appena la scorsa settimana ero a Rook Tor, dove mi sono esibito durante la Festa del Raccolto. Comunque il caso vuole che da queste parti io abbia alcuni amici potenti, e potete credermi se vi dico che verranno a sapere del trattamento che mi è stato inflitto!»
    Il bardo continuò quindi a parlare, fornendo un elenco enciclopedico dei posti in cui si era esibito e delle persone di rango a cui intendeva rivolgersi per avere giustizia, ma Alec non gli prestò attenzione: avviluppato nel suo stato d'infelicità se ne rimase raggomitolato in silenzio nel suo angolo mentre Morden ascoltava il bardo a bocca aperta.
    Le guardie tornarono un'ora più tardi per prelevare lo spaventato conta-dino, e di lì a poco le urla ormai fin troppo familiari echeggiarono lungo il corridoio, inducendo Alec a premere il volto contro le ginocchia e a coprirsi gli orecchi nel tentativo di non sentire. Sapeva che il bardo lo stava os-servando, ma nello stato in cui era ormai non gli importava più di nulla.
    Quando le guardie lo riportarono in cella e lo incatenarono di nuovo alla parete, Morden aveva i capelli e il giustacuore sporchi di sangue e rimase sdraiato dove lo avevano gettato, con il respiro rauco e affannoso.
    Alcuni momenti più tardi un'altra guardia venne a portare ai prigionieri scarse razioni di acqua e di gallette che Rolan esaminò con evidente disgu-sto.
    «Sono ammuffite, ma tu dovresti mangiare qualcosa» disse quindi, get-tando la propria porzione ad Alec.
    Il ragazzo ignorò quel cibo e anche il proprio, terrorizzato dalla consa-pevolezza che la distribuzione delle razioni significava che l'alba era vicina e che un'altra cupa giornata stava per cominciare.
    «Avanti, mangia, più tardi avrai bisogno di essere in forze» lo incitò Ro-lan, in tono urgente, e quando Alec distolse lo sguardo persistette: «Se non altro bevi un po' d'acqua. Sei in grado di camminare?»
    «Che differenza vuoi che faccia?» ribatté il ragazzo, scrollando le spalle con aria apatica.
    «Fra non molto forse ne farà parecchia» replicò il bardo, con uno strano sorriso e con voce che aveva adesso qualcosa di nuovo, una tonalità calco-latrice che era decisamente in contrasto con il suo aspetto da damerino. La luce fioca della lampada lasciava ancora in ombra il suo viso, ma eviden-ziava un naso lungo e affilato e un occhio acuto.
    Alec bevve un piccolo sorso d'acqua, poi trangugiò avidamente anche il resto allorché le esigenze del suo corpo, che non riceveva né cibo né acqua da più di un giorno, presero il sopravvento sulla sua depressione.
    «Così va meglio» mormorò Rolan, poi si sollevò in ginocchio e si allon-tanò dalla parete nella misura in cui glielo permettevano le catene che aveva alle gambe e ai polsi, tenendo le braccia tese all'indietro. Morden sollevò la testa per osservarlo con opaca curiosità.
    «Non serve, in questo modo otterrai soltanto di far accorrere le guardie» sibilò Alec, desiderando che quell'uomo la smettesse di agitarsi tanto.
    La risposta di Rolan fu una strizzata d'occhio che lo lasciò interdetto, poi il bardo cominciò a flettere le mani allargando le dita e i pollici verso l'e-sterno; un momento più tardi Alec sentì giungere dall'altro lato della cella lo schiocco sommesso e nauseante delle articolazioni che uscivano dagli alveoli e le mani di Rolan scivolarono fuori dal cerchio delle manette: ca-dendo in avanti, lui si puntellò con un gomito e si affrettò a rimettere a posto l'articolazione alla base di ciascun pollice.
    «Ecco fatto» commentò quindi, asciugandosi il sudore dal volto con un'estremità della mantella a punte. «Adesso provvediamo ai piedi.»
    Abbassata la sommità dello stivale sinistro tirò fuori da una tasca interna un lungo strumento simile ad un punteruolo e dopo pochi istanti di lavoro a ciascuna serratura riuscì a liberarsi anche le gambe. Presa la propria tazza d'acqua e quella di Morden, si avvicinò quindi ad Alec.
    «Bevi, ma fa' con calma... piano. Come ti chiami?»
    «Alec di Kerry» rispose il ragazzo, sorseggiando con gratitudine quella razione aggiuntiva d'acqua e stentando a credere a ciò che aveva appena visto: per la prima volta da quando era stato catturato, infatti, cominciava a intravedere un barlume di speranza.
    Mentre lui beveva, Rolan continuò ad osservarlo con attenzione, dando l'impressione di essere arrivato ad una decisione che non lo soddisfaceva completamente.
    «Immagino sia meglio che tu venga con me» disse infine con un sospiro, poi si allontanò i capelli dagli occhi con un gesto impaziente e si girò verso Morden con le labbra incurvate in un sorriso sottile e tutt'altro che amiche-vole, aggiungendo: «Quanto a te, amico mio, pare che tu attribuisca un valore notevolmente scarso alla tua vita.»
    «Buon signore» balbettò Morden, ritraendosi con aria spaventata, «io sono soltanto un umile contadino, ma di certo la vita mi sta a cuore come...»
    Rolan lo interruppe con un gesto impaziente, poi si protese in avanti di scatto e infilò una mano nell'apertura dello sporco giustacuore del supposto contadino, tirandone fuori una sottile catena d'argento che gli fece dondo-lare davanti agli occhi.
    «Non sei molto convincente, sai. Per quanto siano degli idioti, gli uomini di Asengai sono troppo efficienti per lasciarsi sfuggire un ninnolo del genere.»
    La sua voce è diversa! pensò Alec, osservando in preda alla confusione quello strano confronto: adesso Rolan non aveva più nessun difetto di pro-nuncia e il suo tono era decisamente minaccioso.
    «Vorrei anche farti notare che di solito gli uomini che vengono torturati soffrono poi di una sete spaventosa» continuò intanto il bardo, «a meno che non puzzino di birra quanto te. Era buona la cena che hai diviso con le guardie? Mi chiedo da dove provenga il sangue di cui sei sporco.»
    «È quello di tua madre!» ringhiò Morden, perdendo la sua espressione da sempliciotto ed estraendo una daga dai gambali per poi scattare verso il bardo, che però schivò il suo attacco e lo raggiunse alla gola con il pugno serrato, schiacciandogli la laringe e sferrandogli subito dopo un colpo di gomito alla tempia che lo fece crollare come un bue sulla paglia con il sangue che gli scorreva dalla bocca e da un orecchio.
    «Lo hai ucciso!» esclamò Alec, con un filo di voce.
    «Pare di sì» annuì Rolan, premendo un dito contro la gola di Morden. «Quest'idiota avrebbe dovuto urlare per chiamare le guardie.»
    Nel parlare si girò verso Alec, che per reazione si appiattì contro le pareti umide della cella.
    «Calmati» lo tranquillizzò Rolan... e con suo stupore il ragazzo si accorse che stava sorridendo. «Vuoi uscire di qui oppure no?»
    Alec riuscì ad annuire in silenzio e rimase rigido e immobile mentre Ro-lan provvedeva a forzare la serratura delle sue catene; quando ebbe finito, il bardo tornò quindi ad accostarsi al corpo di Morden.
    «Adesso vediamo chi eri» commentò, rivolto al morto, infilandosi nello stivale la daga di quest'ultimo e aprendo lo sporco giustacuore per esami-nare il torso peloso che esso copriva. «Hmmm, niente di sorprendente» mormorò quindi, tastando l'ascella sinistra.
    Curioso nonostante la paura, Alec strisciò in avanti quanto bastava per poter sbirciare da sopra la spalla di Rolan.
    «Vedi qui?» indicò il bardo, mostrandogli un triangolo composto da tre minuscoli tatuaggi circolari azzurri impressi nella pelle chiara all'altezza dell'articolazione del braccio.
    «Cosa significa?» domandò Alec.
    «È il simbolo di una corporazione. Lui era un Giocoliere.»
    «Un saltimbanco?»
    «No» sbuffò Rolan. «Lui era una donnola, un sicario. I Giocolieri svol-gono ogni sorta di sporchi lavori in cambio di un prezzo adeguato e scia-mano intorno ai nobili di basso rango tipo Asengai come mosche in una latrina. Avanti, mettiti questo» ingiunse quindi ad Alec, sfilando al morto il giustacuore sporco e porgendolo al ragazzo. «E spicciati! Te lo dico una volta soltanto: resta indietro e dovrai cavartela da solo!»
    L'indumento era sporco e intriso di sangue all'altezza del collo, ma Alec si affrettò ad obbedire e se lo infilò nonostante un brivido di repulsione; quando ebbe finito scoprì che Rolan stava già lavorando per forzare la ser-ratura della porta.
    «Arrugginita figlia di buona donna» commentò il bardo, sputando nel buco della serratura; infine essa si decise a cedere e lui aprì la porta di una fessura, sbirciando fuori.
    «Pare che la via sia libera» sussurrò. «Restami vicino e fa' quello che ti dico.»
    Con il cuore che gli martellava negli orecchi Alec lo seguì nel corridoio. Parecchi metri più avanti c'era la camera in cui avevano luogo le torture e più oltre c'era la sala delle guardie, la cui porta spalancata permetteva di sentire il rumore di una partita di qualche tipo che stava procedendo fra gli schiamazzi dei partecipanti.
    Gli stivali di Rolan non produssero maggior rumore dei piedi nudi di Alec mentre i due avanzavano lentamente verso la soglia aperta; quando la raggiunsero Rolan piegò per un momento la testa da un lato, come in ascolto, poi sollevò quattro dita e con un gesto rapido segnalò ad Alec di oltrepassare la soglia in fretta e senza far rumore.
    Il ragazzo scoccò un'occhiata all'interno della stanza, scoprendo che le quattro guardie erano inginocchiate intorno ad un mantello steso sul pavi-mento mentre una di esse lanciava i dadi e parecchie monete cambiavano di mano fra una quantità di imprecazioni peraltro cordiali.
    Aspettato il momento in cui l'attenzione generale si concentrata sul tiro di dadi successivo, sgusciò dall'altra parte della soglia. Rolan lo raggiunse senza far rumore e insieme si affrettarono a svoltare un angolo e a scendere una scala in fondo alla quale c'era una nicchia poco profonda in cui ardeva una lampada di cui Rolan s'impossessò nel passarle accanto.
    Non avendo la minima idea della struttura interna dell'edificio Alec perse ben presto l'orientamento mentre procedevano lungo una successione di tortuosi corridoi; alla fine Rolan si arrestò ed aprì una stretta porta, scom-parendo nel buio al di là di essa e sussurrando ad Alec di stare attento ai gradini appena in tempo per risparmiargli di rotolare giù per una nuova rampa di scale che aveva inizio a meno di un passo dalla soglia.
    Laggiù faceva più freddo e c'era una notevole umidità, come dimostra-vano anche i licheni che chiazzavano le pietre delle pareti e che venivano illuminati a tratti dalla lampada che Rolan aveva in mano; anche i gradini erano di pietra, per quanto sbrecciati e rovinati dall'incuria.
    Un'ultima rampa di scalini semisgretolati li condusse ad una bassa porta rinforzata in ferro: adesso il gelo era tale che il pavimento risultava ghiac-ciato sotto i piedi nudi di Alec, il cui respiro scaturiva dalle labbra in pic-coli sbuffi di vapore bianco. Porgendogli la lampada, Rolan si mise all'o-pera per forzare il pesante lucchetto che pendeva da un anello piantato nel legno della porta.
    «Ecco fatto» sussurrò quando infine la serratura cedette. «Adesso spegni la lampada e lasciala qui.»
    Insieme scivolarono nell'ombra del cortile cinto da mura. La falce di luna era bassa verso ovest e il cielo ancora punteggiato di stelle mostrava già i primi accenni d'indaco che lasciavano presagire l'approssimarsi dell'alba; tutt'intorno nel cortile ogni cosa... la catasta della legna, il pozzo, la fucina del fabbro... era coperta da uno spesso strato di brina e nel vederlo Alec pensò che quell'anno l'inverno sarebbe giunto presto, se ne sentiva già l'o-dore nell'aria.
    «Questo è il cortile delle stalle» sussurrò intanto Rolan. «Dietro quella catasta di legna ci sono le porte, affiancate da una pusterla. Dannazione, fa veramente freddo!»
    Passandosi con decisione una mano fra i ridicoli capelli ricciuti, il bardo tornò ad esaminare Alec, constatando che a parte il giustacuore sporco il ragazzo era quasi nudo.
    «Non puoi certo andare in giro conciato in questo modo» disse quindi. «Raggiungi la porta laterale e aprila: non ci dovrebbero essere guardie, ma tieni gli occhi aperti e non fare rumore! Io sarò subito di ritorno.»
    E prima che Alec potesse protestare svanì come uno spettro in direzione delle stalle.
    Rimasto solo Alec si accoccolò per un momento vicino alla porta, strin-gendosi le braccia intorno al corpo per proteggersi dal freddo: adesso che era solo nel buio sentì svanire in fretta quel breve impeto di sicurezza che lo aveva sostenuto fino a quel momento, e quando un'occhiata in direzione delle stalle rivelò che non si scorgeva traccia del suo strano compagno l'inquietudine si trasformò nel suo animo in un'ondata di genuina paura che si agitò appena oltre la fragile soglia della sua risolutezza.
    Costringendosi a respingerla, il ragazzo s'impose di concentrarsi sul compito di valutare la distanza che lo separava dal lato in ombra della ca-tasta di legna.
    Non sono arrivato fin qui soltanto per farmi abbandonare perché sono un debole, si rimproverò. Creatrice Dalna, tieni la tua mano su di me in questo momento!
    Tratto un profondo e silenzioso respiro scattò in avanti ed era ormai ad un braccio di distanza dalla catasta di legna quando un'alta figura emerse dall'ombra della fucina, che si trovava a pochi metri di distanza.
    «Chi è là!» esclamò l'uomo, estraendo qualcosa dalla cintura. «Tu, fer-mati e rispondi!»
    Alec invece si tuffò verso la catasta e si gettò dietro di essa, sentendo qualcosa di duro sbattergli contro il petto quando atterrò al suolo.
    Allorché allungò la mano per controllare di cosa si trattava essa si chiuse intorno alla liscia impugnatura di un'ascia... poi lui dovette rotolare rapi-damente per evitare il pesante randello che l'uomo stava calando in dire-zione della sua testa. Tenendo l'ascia come se si fosse trattato di un bastone, riuscì a parare il colpo della sentinella ma si trovò ad essere in posizione di netta inferiorità fisica, e sentì le poche forze che gli erano rimaste dopo giorni di maltrattamenti svanire in fretta sotto la pioggia di colpi che minacciava di sopraffarlo. Mentre scattava all'indietro, intravide Rolan fermo vicino alla porta delle stalle, ma invece di venire ad aiutarlo il bardo tornò a svanire nell'ombra dell'edificio.
    Allora è così che stanno le cose, pensò cupamente il ragazzo. Sono finito nei guai e lui ha deciso di abbandonarmi.
    Spinto dalla furia generata da una disperazione assoluta si scagliò allora contro la stupefatta sentinella, costringendola ad indietreggiare di fronte ad una serie di selvaggi fendenti vibrati con l'ascia a doppia lama che aveva in pugno: se doveva morire in questo posto terribile almeno lo avrebbe fatto combattendo e sotto il cielo aperto.
    Ripresosi in fretta dallo sconcerto iniziale il suo avversario stava intanto ricominciando a incalzarlo quando entrambi vennero colti di sorpresa da un improvviso fragore: le porte della stalla si spalancarono rumorosamente e Rolan saettò fuori dell'edificio in sella ad un enorme cavallo nero, inseguito da una schiera di stallieri, di garzoni e di guardie che stavano gridando per dare l'allarme.
    «La porta, dannazione! Apri la porta!» urlò Rolan, descrivendo il peri-metro del cortile con gli inseguitori alle calcagna.
    Distratta, la sentinella parò goffamente ed Alec ne approfittò per insi-nuarsi sotto la sua guardia con un selvaggio fendente: la lama raggiunse il bersaglio e l'uomo crollò al suolo urlando mentre il ragazzo lasciava cadere l'ascia e saettava verso la porta, sollevando dai sostegni la pesante sbarra e spalancando i battenti.
    E adesso? si chiese quindi.
    Nel guardarsi intorno scoprì che Rolan era impegnato dalla parte opposta del cortile: una guardia lo aveva afferrato per una caviglia e un garzone di stalla stava spiccando dei salti nel tentativo di impadronirsi delle redini del cavallo. Accorgendosi che la porta era infine aperta il bardo costrinse intanto l'animale a impennarsi e lo spinse ad un furioso galoppo attraverso il cortile, facendogli saltare senza difficoltà il pozzo e dirigendolo verso le porte; tirando leggermente le redini, avvolse quindi una mano nella criniera nera dell'animale e si abbassò sul suo collo, protendendo il braccio libero verso il basso.
    «Vieni qui!» urlò.
    Alec allungò la mano appena in tempo. Le dita di Rolan gli si serrarono intorno al polso e lo sollevarono da terra, issandolo sull'ampio dorso del cavallo, e lui si affrettò ad assestarsi in arcione e a stringere le braccia in-torno alla vita del compagno mentre oltrepassavano a precipizio le porte e si lanciavano lungo la strada al di là di esse.
    Una volta fuori aggirarono il piccolo villaggio annidato a ridosso delle mura della fortezza e volarono lungo la strada in direzione del boscoso pendio montano che si stendeva al di sotto del dominio di Asengai.
    Dopo che ebbero percorso parecchi chilometri Rolan abbandonò la strada e si addentrò nella fitta foresta che la fiancheggiava; al sicuro in mezzo agli alberi, fece infine arrestare la cavalcatura.
    «Avanti, prendi questo» sussurrò, mettendo un fagotto nelle mani di Alec.
    Si trattava di un mantello, e anche se il suo rozzo tessuto puzzava di stal-la, il ragazzo si avvolse con sollievo, stringendo i piedi nudi contro i fianchi fumanti del cavallo per scaldarli.
    Dal momento che la sosta silenziosa si protraeva, Alec si rese conto che stavano aspettando qualcosa, e di lì a poco sentì infatti un rumore di zocco-li; il buio troppo fitto gli impedì di contare i cavalieri che oltrepassarono il loro nascondiglio, ma a giudicare dal rumore prodotto dalle cavalcature dovevano essere almeno una mezza dozzina.
    Dopo aver aspettato che il gruppo si fosse allontanato a sufficienza, Ro-lan riportò quindi il cavallo nero sulla strada e lo avviò verso la fortezza.
    «Stiamo andando nella direzione sbagliata» sussurrò Alec, tirandolo per una manica.
    «Non ti preoccupare» rispose il suo compagno, con una risatina som-messa.
    Di lì a poco abbandonarono infatti la strada principale per imboccare un sentiero coperto di erbacce e avviarsi al piccolo galoppo lungo un pendio fittamente boscoso, protetti dagli alberi che li sferzavano in volto con i rami. Fermandosi di nuovo, Rolan chiese quindi ad Alec di dargli il man-tello e lo gettò sulla testa del cavallo per tenerlo tranquillo; seguì una breve attesa poi sentirono arrivare di nuovo i cavalieri, che questa volta stavano procedendo più lentamente e si scambiavano a vicenda dei commenti.
    Due di essi si addentrarono sul sentiero laterale, passando a circa tre metri dal punto in cui Rolan e Alec stavano nascosti, immobili e trattenendo il respiro.
    «Ti dico che deve essere un mago» stava dicendo uno dei due, «per aver ucciso quel bastardo del sud come ha fatto, scomparire dalla cella e poi svanire nel nulla in questo modo!»
    «Al diavolo i maghi» ribatté l'altro. «Sarai tu a desiderare di essere un mago se Berin non li raggiungerà lungo la strada, perché Lord Asengai ci farà scuoiare tutti!»
    Un istante più tardi un cavallo incespicò e s'impennò.
    «Per le Interiora di Bilairy! Non è possibile percorrere al buio questo sentiero. Se lo avessero imboccato a quest'ora si sarebbero già rotti l'osso del collo» borbottò il primo dei due uomini, poi essi rinunciarono alle ri-cerche e tornarono nella direzione da cui erano venuti.
    Quando infine intorno riprese a regnare il silenzio più assoluto Rolan rimontò in groppa davanti ad Alec e gli restituì il mantello.
    «Adesso cosa facciamo?» sussurrò il ragazzo, allorché si rimisero in cammino lungo il sentiero montano.
    «Ho lasciato alcune provviste a qualche chilometro da qui e spero che ci siano ancora. Tieniti forte perché ci aspetta una dura cavalcata.»
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    Prima di imbarcarmi in questa nuova trilogia aspetto l'ultimo libro. Questa scrittrice mi è piace proprio, gli altri libri non mi hanno deluso, e penso che mi piacerà anche questo
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    come fantasy è veramente carino, semplice ma simpatico. L'unica pecca che sia il primo di 4 libro non depone propriamente a suo favore, anche perchè ci impiegheranno una vita (immagino) a pubblicarli....
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    Il primo libro, mi è piaciuto, da ottimi spunti, l'idea generale è intrigante, e l'idea che non tutto è stato ancora spiegato fa sperare bene
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    il primo è veramente carino, mi ricorda il telefilm Dark Angel....
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    CITAZIONE (mari 83 @ 23/12/2010, 11:43) 
    scusate ma a voi è piaciuto davvero questo libro?io l'ho trovato di una noia mortale, oltretutto lo considero anche la bruttissima copia di twilight e la cosa mi ha disturbata parecchio!cambia solo il soggetto ma gli eventi sono praticamente gli stessi!ho faticato in modo immane per finirlo e appena girata l'ultima pagina se avessi avuto il caminetto avrei ben saputo io come riutilizzare quelle pagine........

    effetivamente, non mi ha preso per nulla......... l'ho interrotto quasi alla fine, ero annoiata a morte, mi sembrava sconclusionato, non sono riuscita a dargli un senso, sicuramente non prenderò i prossimi.
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    Benvenuta :ciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaoooooooooo

    per dei libri fantasy classic qui

    oppure ci sono anche:

    ^_^ I libri di David Eddings, I primi 5 sono bellissimi, è una saga classica ma veramente ben scritta (sono: Il segno della profezia - La regina della magia - La Valla di Aldur - Il castello Incantato - La fine del gioco) - li trovo in Tif extra della fanucci

    :lol: Mercedes Lacley (la saga di Valdemar) una trilogia che ho adorato (sono: Un Araldo per Valdemar - Le freccie di Valdemar - Il Destino di Valdemar) questi mi sa che farai fatica a trovarli, non li hanno piu ristampati

    :B): L.E.Modesitt,Jr (le cronache di corus), una saga lenta all'inizio ma veramente bella

    :o: Jim Butcher (la saga di Codex Alara) per ora è uscito il primo

    :D Maggie Furie (la saga dei maestri del sapere e la saga dei manufatti del potere)

    :P Terry Goodkind (il ciclo la spada della verità), anche questo lo trovi in tif extra, ne hanno tratto una seri tv

    ;) Trudi Canavan (Trilogia del mago oscuro) sono: La corporazione dei maghi -la scuola dei maghi - il segreto dei maghi

    poi ce ne sono tantissimi alti.............
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    Figurati, è stato un piacere. Spero di esserti stata utile.
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    :grazieee: :occhione:
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    CITAZIONE (Karyn. @ 31/3/2012, 16:33) 
    Non so dove aprire un nuovo post per fare questa domanda, quindi mi scuso in anticipo se sbaglio a metterla qui.
    Fino ad ora ho sempre acquistato i dark passion in edicola; non c'è un sito dove posso prenderli online, come a volte faccio con i libri Harmony?
    Ho provato a cercare un mondadori shop online ma quelli che trovo non contengono la vendita dei libri che escono in edicola. Però leggendo dei commenti su il blog mondadori ho visto che qualcuno ha addirittura comprato gli ebook di alcune saghe dark passion... mi chiedevo: dove?
    Grazie in anticipo!!!
    :baciiiiiiiiiiiiiii:

    non sò se poi hai trovato risposta, ma io ho visto gli ebook della mondolibri su amazon in formato mobi per la kindle. Non sò se li trovi tutti, ma ne ho visti diversi
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    un libro singolo.......... mmh........... interessante
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    Di solito dò sempre una seconda change, vedremo trama e commenti............
112 replies since 4/7/2012
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