Leggere Romanticamente & Fantasy Forum. Per chi ama l'Urban Fantasy, il Paranormal Romance e il Romance!

Posts written by Sil.lav

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    Cambiano i protagonisti sono i due figli avuti dalla coppia, un maschio e una femmina. Li hanno pubblicati in edicola.
    i titoli sono:
    - Cuore di Guerriero
    - Il custode del cuore
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    CITAZIONE (Karyn. @ 21/5/2012, 09:29) 
    Comunque storia molto bella. Kimberly ha un bel carettirino e s'incastrerà a meraviglia con il bellissimo Lachlan. Lui è un uomo bellissimo, molto dolce, estremamente passionale e possessivo.

    è stato il primo che ho letto della serie Sherring Cross, mi veramente piaciuto i battibecchi tra i protagonisti sono divertentissimi, e kimberly ha proprio un caratterino tutto pepe
  3. .
    CITAZIONE (lucia63 @ 22/2/2011, 12:36) 
    Primo di una trilogia LY San Ter lo considero uno dei piu' divertenti del'autrice i dialoghi con il computer Marta sono impagabili.

    è stata proprio una lettura piacevole, ho comprato gli altri due sulla spinta del primo, non sono al suo livello i primo è troppo simpatico e Marta l'ho adorata
  4. .
    l'ho preso tempo fa, ma non sono mai riuscita a leggerlo, l'ho preso essenzialmente perchè ho capito che era il primo di Sherring Cross.
    Sono pignola, ma una pecca in questo genere di libri è che non sono mai in sequenza cioè questo è pubblicato dai grandi romanzi storici special, il secondo è sperling (io ho l'edizione euroclub) ed il terzo è i romanzi mondadori (almeno la mia versione)
    diverse edizioni diverse cover
    *stanno male nella mia libreria 1775465298wan :incavolato: :kaggy: :incavolato: :kaggy: *
    1775465346wan ok sfogo finito
    è sciocco ma se sono la stessa serie mi piace uno stile continuativo
  5. .
    La trama mi ispira, ma non sono ancora sicura sull'acquisto................
  6. .
    CITAZIONE (=lady kira= @ 26/2/2012, 07:44) 
    Finalmente dopo dieci anni di attesa

    gia finalmente l'ultimo :buonpranzo:
    ho cominciato questa saga da adolescente e dopo tutti questi anni giunge l'ultimo, non è una lettura leggera, le varie degressini dell'autice risultano impegnative, dopo tutto lei è un antropologa e si sente, ma sono dei bellissimi libri che meritano di essere letti

    CITAZIONE (=lady kira= @ 26/2/2012, 07:44) 
    (pensate che fortuna potete leggerla senza aspettare trent’anni come ho fatto io!!! Non sapete quanto v’invidio!), ma vi consiglio di leggerla partendo dal concetto di avere tra le mani un romanzo storico, in cui diversi tratti sconfinano in un trattato di antropologia.

    gia anch'io invidio i fortunati chi non deve aspettare 10 per leggerli in sequenza
  7. .
    Il primo libro di una serie lunga (conta 10 libri, sono due saghe di 5 libri ciascuna) ma la sua lettura è stata talmente piacevole che la rileggo ancora................
    è un fantasy classico ma scritto in modo piacevole e ironico, comincia in maniera molto comune e va via via evolvendo, gli spunti su chi sono i pesonaggi vengono dati ma non viene rivelato veramente tutto fino alla fine, veramente consigliatissimo

    estratto primo capitolo:
    La prima cosa che Garion rammentò fu la cucina della fattoria di Faldor, e, per
    tutto il resto della sua vita, gli rimase un particolare affetto per le cucine e per quel
    particolare insieme di suoni e di odori che sembrano in qualche modo combinarsi
    in quel serio affaccendarsi che ha a che fare con l’amore, il cibo, la comodità, la
    sicurezza, e, soprattutto, con la casa. Indipendentemente da quanto in alto fosse
    riuscito ad arrivare nel corso della sua vita, Garion non avrebbe mai dimenticato
    che i suoi ricordi erano iniziati in quella cucina.
    La cucina della fattoria di Faldor era un ambiente ampio con il soffitto basso a
    travatura scoperta, pieno di forni e pentole e grandi spiedi che giravano lentamente
    in focolari arcuati e grandi come caverne. Vi erano lunghi e massicci tavoli da la-
    voro su cui la pasta per il pane veniva intrecciata nei filoni, i polli venivano fatti a
    pezzi e le carote ed il sedano rapidamente ridotti in cubetti con secchi e dondolanti
    moti di un lungo coltello. Quando era molto piccolo, Garion soleva giocare sotto
    quei tavoli, ed aveva imparato molto presto a non ficcare le mani o i piedi sotto le
    suole delle scarpe degli inservienti che vi lavoravano. Qualche volta, poi, nel tardo
    pomeriggio, quando si sentiva stanco, si sdraiava in un angolo e rimaneva a fissare
    i fuochi tremolanti che riflettevano la loro luce sul centinaio di pentole e coltelli e
    mestoli lucidi, appesi a pioli lungo le pareti imbiancate, e finiva così per scivolare
    nel sonno senza neppure accorgersene in perfetta pace ed armonia con il mondo
    circostante.
    Il centro della cucina e di tutto quello che vi succedeva era zia Pol. Chissà co-
    me, sembrava in grado di essere dappertutto allo stesso momento, per dare il tocco
    finale ad un’oca imbottita già nella padella o per modellare con abilità una forma di
    pane che stava lievitando o ancora per guarnire un prosciutto fumante appena usci-
    to dal forno. Anche se vi erano molte altre persone che lavoravano nelle cucine,
    non vi erano pane, arrosto, zuppa, stufato o verdura che ne uscissero senza aver ri-
    cevuto almeno un tocco finale da zia Pol: lei era in grado, in base all’odore, al sa-
    pore o a chissà quale affilato istinto, di percepire quello di cui ciascun piatto aveva
    bisogno per essere perfetto, e ve lo aggiungeva sotto forma di un pizzico di qualco-
    sa o di una negligente scrollatina o di qualche aggiunta minuscola: era come se vi
    fosse in lei una specie di magia, una conoscenza ed un potere che andavano al di là
    di quelli delle persone normali. E comunque, anche quando aveva maggiormente
    da fare, zia Pol sapeva sempre con precisione dove Garion si trovasse; proprio
    mentre stava perforando la crosta di una torta o applicando una speciale decorazio-
    ne, o ricucendo un pollo ripieno, era capace, senza neppure guardare, di allungare
    una gamba e di agganciarlo con il tallone o la caviglia in modo da evitare che finis-
    se calpestato da qualcuno.
    Quando divenne un po’ più grande, la cosa si trasformò addirittura in un gioco
    per Garion, che aspettava il momento in cui la zia gli sembrava troppo occupata
    per potersi accorgere di lui e poi, ridendo, si precipitava verso la porta sulle grasse
    gambette robuste. Ma la zia finiva sempre per acciuffarlo, ed allora lui l’abbraccia-

    va e la baciava e tornava ad appostarsi in attesa della prossima occasione per ripe-
    tere il gioco.
    In quei primi anni, Garion era quasi convinto che zia Pol fosse la persona più
    bella ed importante del mondo. Tanto per cominciare, era più alta di tutte le altre
    donne della fattoria di Faldor... alta quasi quanto un uomo... ed il suo volto era
    sempre serio... addirittura severo... tranne che, naturalmente, con lui. Aveva i ca-
    pelli lunghi e di un nero cupo, salvo che per una ciocca sul lato sinistro della fron-
    te, che era candida come la neve. Di notte, quando lei gli rimboccava le coperte del
    piccolo letto che occupava accanto al suo, nella stanza loro assegnata sopra le cu-
    cine, lui allungava la mano per toccare quella ciocca bianca, ed allora lei sorrideva
    e gli sfiorava il volto con la mano morbida, dopodiché Garion si addormentava,
    contento, pensando che lei era là e lo proteggeva.
    La fattoria di Faldor sorgeva praticamente nel centro di Sendaria, un regno
    nebbioso che confinava ad ovest con il Mare dei Venti e ad est con il Golfo di Che-
    rek. Come tutte le fattorie di quel particolare luogo e di quell’epoca, quella di Fal-
    dor non era formata solo da un paio di edifici, ma era piuttosto un complesso dalla
    struttura robusta, costituito da un insieme di granai e baracche e pollai e piccionaie,
    tutti rivolti verso il cortile interno centrale, chiuso anteriormente da un robusto
    cancello. Al secondo piano degli edifici vi era una serie di camere, alcune spaziose
    altre minuscole, occupate dai braccianti che coltivavano i capi che si estendevano
    oltre la fattoria. Lo stesso Faldor occupava un appartamento nella torre squadrata
    centrale che sorgeva al di sopra della grande sala da pranzo in cui i dipendenti della
    fattoria si radunavano tre volte al giorno... o anche quattro durante il periodo del
    raccolto... per banchettare con quanto offriva la cucina di zia Pol.
    In tutto e per tutto, quindi, si trattava di un luogo felice ed armonioso. Il Fattore
    Faldor era un buon padrone, un uomo alto e serio con un lungo naso ed una ma-
    scella ancora più lunga, che, sebbene, ridesse di rado, era gentile con quanti lavo-
    ravano per lui e sembrava più preoccupato di mantenerli tutti in buona salute che di
    farli sudare il più possibile alle sue dipendenze. Sotto molti aspetti, era piuttosto un
    padre che un padrone per le sessanta persone circa che vivevano nella sua tenuta.
    Mangiava insieme a loro... il che già di per sé era una cosa insolita, visto che la
    maggior parte dei fattori del distretto preferiva mantenersi distaccata dai dipenden-
    ti... e la sua presenza a capo della lunga tavola nella sala centrale esercitava un cer-
    to controllo sui contadini più giovani che tendevano ad essere troppo vanagloriosi.
    Il Fattore Faldor era anche un uomo devoto, e, invariabilmente, pronunciava una
    semplice ma eloquente benedizione agli Dei prima di ciascun pasto. La gente della
    sua fattoria, sapendolo, entrava con un certo decoro nella sala da pranzo e rimane-
    va seduta con un aspetto, almeno esteriormente, di devozione prima di aggredire i
    piatti colmi di cibo che zia Pol ed i suoi aiutanti avevano posto loro dinnanzi.
    A causa del buon cuore di Faldor... e della magia delle abili dita di zia Pol...
    quella fattoria era rinomata in tutto il distretto come il luogo migliore in cui lavora-
    re, nel raggio di venti leghe in ogni direzione. Nel vicino villaggio di Upper Gralt,
    gli avventori della taverna trascorrevano intere serate a descrivere minuziosamente
    i pasti quasi miracolosi che venivano serviti con regolarità alla fattoria di Faldor, e

    gli uomini meno fortunati di altre fattorie finivano spesso, dopo aver ingurgitato
    parecchi boccali di birra, per piangere alla descrizione di una delle oche arrostite di
    zia Pol, per cui la fama della fattoria di Faldor finì per dilagare sempre più in tutto
    il distretto.
    L’uomo più importante della fattoria, a parte lo stesso Faldor, era Durnik, il
    fabbro. Quando divenne più grande ed ebbe il permesso di allontanarsi dal control-
    lo dell’occhio sempre vigile di zia Pol, Garion finì per recarsi sempre, inevitabil-
    mente, nella fucina. Il ferro rovente che usciva dalla forgia di Durnik esercitava su
    di lui un’attrazione quasi ipnotica. Il fabbro era un uomo dall’aspetto comune, con
    i capelli castani ed il volto arrossato dal fuoco, non era né alto né basso, né magro
    né grasso, era sobrio e silenzioso e, come la maggior parte degli uomini che face-
    vano il suo stesso mestiere, possedeva una forza immensa. Indossava un giustacuo-
    re di cuoio ed un grembiule dello stesso materiale, entrambi costellati dei segni del-
    le bruciature provocate dalle scintille che volavano dalla forgia; indossava anche
    un paio di calzoni aderenti e stivali di pelle morbida, secondo il costume di Senda-
    ria. All’inizio, le uniche parole che Durnik aveva rivolto a Garion erano state degli
    avvertimenti a tenersi alla larga dalla forgia e dal metallo incandescente, ma con il
    tempo l’uomo ed il ragazzo avevano fatto amicizia e lui si era messo a chiacchiera-
    re con maggiore frequenza.
    «Finisci sempre quello che hai incominciato» soleva consigliare. «Non va bene
    mettere un ferro da parte e poi riscaldarlo ancora più di quanto ce ne sia bisogno.»
    «Come sarebbe?» domandava Garion.
    «È così e basta» replicava Durnik con una scrollata di spalle.
    «Fa’ sempre del tuo meglio» consigliava poi Durnik in qualche altra occasione,
    come quella volta in cui era intento ad effettuare gli ultimi ritocchi con una lima
    alle parti metalliche dell’asta di un carro che stava riparando.
    «Ma quel pezzo va sotto» aveva osservato Garion. «Non lo vedrà nessuno.»
    «Ma io saprei che è là» aveva ribattuto Durnik, continuando a limare il metallo.
    «E se non avessi fatto del mio meglio, mi vergognerei ogni volta che vedrei passa-
    re questo carro... e lo vedrei passare tutti i giorni.»
    E così di seguito. Senza neppure averne l’intenzione, Durnik finì così per istrui-
    re il ragazzino in quelle solide virtù sendariane dell’operosità, della laboriosità,
    della sobrietà e delle buone maniere, e dello spirito pratico che, nel loro insieme,
    costituivano il fondamento della società.
    In un primo momento, zia Pol si era preoccupata per l’attrazione che la fucina,
    con tutti i suoi ovvi pericoli, esercitava su Garion, ma, dopo essere rimasta di guar-
    dia per un po’ dalla soglia della cucina, si era resa conto che Durnik badava alla
    sicurezza dei ragazzo in maniera quasi altrettanto vigile quanto avrebbe fatto di lei,
    e si era sentita meno preoccupata.
    «Se il ragazzo dovesse diventare fastidioso, Mastro Durnik, mandalo via» disse
    al fabbro, una volta che andò a portargli una grossa pentola di rame perché l’aggiu-
    stasse. «Oppure fammelo sapere e ci penserò io a tenerlo di più in cucina con me.»
    «Non dà alcun fastidio, Dama Pol» replicò Durnik, sorridendo. «È un ragazzo
    intelligente e sa tenersi fuori dai piedi.»

    «Sei troppo buono, amico Durnik» replicò zia Pol. «Quel povero ragazzo ha la
    testa piena di domande: rispondi ad una e ne verrà fuori un’altra dozzina.»
    «È così che sono fatti i ragazzi» ribatté Durnik, versando con cautela un po’ di
    metallo gorgogliante nel piccolo anello d’argilla che aveva posto intorno al foro sul
    fondo della pentola. «Anch’io facevo un sacco di domande, quand’ero un ragazzo,
    e mio padre ed il vecchio Barl, il fabbro che mi ha istruito nel mestiere, sono stati
    abbastanza pazienti da rispondermi quando erano in grado di farlo. Li ripagherei
    miseramente se adesso non dimostrassi con Garion la stessa pazienza.»
    Garion, se ne stava seduto poco lontano, aveva trattenuto il respiro durante tutta
    la conversazione, consapevole che sarebbe bastata una sola parola sbagliata da una
    parte o dall’altra per bandirlo immediatamente dalla fucina. Poi, mentre zia Pol at-
    traversava lo spiazzo di terra battuta per tornare in cucina con la pentola aggiustata,
    lui aveva notato il modo in cui Durnik la guardava, ed un’idea aveva cominciato a
    prendere forma nella sua mente, un’idea splendida e semplice che avrebbe fornito
    qualche vantaggio a tutti e tre.
    «Zia Pol» esordì quella sera, sussultando mentre lei gli lavava un orecchio con
    una stoffa ruvida.
    «Sì?» chiese lei, rivolgendo ora la propria attenzione al suo collo.
    «Perché non sposi Durnik?»
    «Cosa?» Zia Pol smise di lavarlo.
    «Credo che sarebbe davvero una buona idea.»
    «Ah, davvero?» Vi era una sfumatura nella voce della zia che Garion aveva
    imparato a distinguere come segnale di inoltro su un terreno pericoloso.
    «Tu gli piaci» insistette, sulla difensiva.
    «Devo supporre che tu abbia già discusso la cosa con lui?»
    «No. Ho pensato che avrei fatto meglio a parlare prima con te.»
    «Questa, almeno, è stata una buona idea.»
    «Ma gliene posso parlare domattina, se ti va.»
    Zia Pol gli fece girare la testa tenendolo per un orecchio, e lui ebbe l’impressio-
    ne che la zia trovasse i suoi orecchi un appiglio fin troppo comodo.
    «Non ti azzardare a sussurrare neppure una parola su sciocchezze del genere a
    Durnik o a chiunque altro» gli intimò, fissandolo con gli occhi scuri accesi da una
    fiamma che lui non aveva mai visto prima.
    «Era solo un’idea» si affrettò a dire.
    «Decisamente sbagliata. D’ora in poi, lascia agli adulti il compito di pensare.»
    Lo stava ancora tenendo per un orecchio.
    «Come vuoi tu» si affrettò ad acconsentire Garion.
    Più tardi, tuttavia, mentre se ne stavano distesi al buio nei loro letti, lui provò
    ancora ad accostare il problema in maniera indiretta.
    «Zia Pol?»
    «Sì?»
    «Dato che non vuoi sposare Durnik, chi è che vuoi sposare?»
    «Garion!»
    «Sì?»

    «Taci e dormi»
    «Credo di avere il diritto di saperlo» insistette lui, in tono offeso.
    «Garion!»
    «D’accordo, dormo, ma penso che tu non ti stia comportando molto bene in
    questo caso.»
    «Hai ragione» rispose allora zia Pol, dopo aver tratto un profondo sospiro.
    «Non penso affatto di sposarmi, non ci ho mai pensato e dubito seriamente che ci
    penserò mai. Ho decisamente troppe cose importanti cui pensare per perdere tempo
    con questi argomenti.»
    «Non ti preoccupare, zia Pol» disse allora il ragazzo, desiderando rasserenarla,
    «quando sarò grande ti sposerò io.»
    A quelle parole lei scoppiò a ridere, una risata ricca e profonda, ed allungò la
    mano per accarezzargli il viso.
    «Oh, no, mio Garion» sussultò «c’è un’altra sposa in serbo per te.»
    «Chi?»
    «Lo scoprirai un giorno» fu la misteriosa risposta. «Ora dormi.»
    «Zia Pol?»
    «Sì?»
    «Dov’è mia madre?»
    Quella era una domanda che Garion aveva voglia di fare già da parecchio tem-
    po. Vi fu una lunga pausa, poi zia Pol sospirò.
    «È morta» replicò in tono sommesso.
    Garion avvertì un’improvvisa ondata di dolore, un’angoscia intollerabile, e co-
    minciò a piangere.
    E subito dopo la zia fu accanto al suo letto, s’inginocchiò a terra e lo abbracciò;
    passò parecchio tempo, durante il quale lo portò nel suo grande letto e lo tenne
    stretto fino a che le lacrime non si furono esaurite, poi Garion chiese ancora, con
    voce spezzata:
    «Com’era? Com’era mia madre?»
    «Aveva i capelli biondi, era giovane e molto bella. La sua voce era gentile e lei
    era molto felice.»
    «Mi amava?»
    «Più di quanto tu possa immaginare.»
    Ed allora lui pianse ancora, ma in maniera più tranquilla, più per il rimpianto
    che per l’angoscia.
    Zia Pol lo tenne stretto a sé fino a quando non si addormentò piangendo.
    Alla fattoria di Faldor vi erano anche altri bambini, com’era naturale in una
    comunità di almento sessanta persone. Quelli più grandi lavoravano tutti, ma ve
    n’erano tre, all’incirca della stessa età di Garion, che divennero suoi compagni di
    giochi ed i suoi amici.
    Il ragazzo più grande del gruppo si chiamava Rundorig, aveva un anno o due
    più di Garion ed era più alto di lui. Normalmente, visto che era il maggiore, avrebbe dovuto essere Rundorig a comandare, ma, siccome era un Arend, non era molto
    sveglio e preferiva rimettersi alle decisioni dei più giovani. Il regno di Sendaria, al
    contrario di tutti gli altri, era popolato da un assortimento di razze, Chereks, Alga-
    riani, Drasniani, Arends e perfino un sostanzioso gruppo di Tolnedrani, razze che
    si erano mescolate fra loro fino a formare i Sendariani. Gli Arends, naturalmente,
    erano molto coraggiosi, ma erano anche noti per la lentezza di comprendonio.
    Il secondo compagno di giochi di Garion si chiamava Doroon, un ragazzo sve-
    glio e minuto di origini talmente miste che lo si poteva definire soltanto un senda-
    riano. La caratteristica principale di Doroon era il fatto che lui correva sempre, e
    non camminava mai se solo poteva correre. Come i piedi, anche la sua lingua e la
    sua mente sembravano rotolare di continuo: Doroon parlava senza posa, molto in
    fretta, ed era costantemente eccitato per qualcosa.
    Il capo indiscusso del quartetto era una ragazzina, Zubrette, un’incantatrice dai
    capelli biondi che inventava i giochi, inventava storie da raccontare e li induceva a
    rubare per lei mele e prugne dai frutteti della fattoria. Zubrette li comandava a bac-
    chetta come una piccola regina, mettendoli uno contro l’altro ed incitandoli a com-
    battere; era decisamente spietata e ciascuno dei tre ragazzi finiva di frequente per
    odiarla, pur rimanendo schiavo anche del suo più piccolo desiderio.
    D’inverno, i quattro andavano a scivolare su larghe travi, giù per i pendii inne-
    vati alle spalle della fattoria e poi tornavano a casa bagnati e coperti di neve, con le
    mani gelate e le guance rosse come due mele, mentre le ombre purpuree del tra-
    monto si stendevano già all’esterno. Oppure, dopo che Durnik il fabbro si era ac-
    certato che il ghiaccio era sicuro, andavano a scivolare sul laghetto che si trovava
    in una valletta appena ad est delle costruzioni della fattoria, lungo la strada che
    portava ad Upper Gralt. E ancora, quando faceva troppo freddo oppure le piogge
    ed i caldi venti primaverili rendevano la neve molle ed il ghiaccio poco affidabile,
    si radunavano nel fienile e passavano delle ore a saltare giù, dal solaio nei mucchi
    di soffice fieno sottostante, riempiendosi i capelli di stoppie ed il naso di una pol-
    vere che odorava di estate.
    A primavera, poi, andavano a caccia di girini lungo le rive paludose del laghet-
    to e si arrampicavano sugli alberi per fissare con meraviglia le uova azzurrine che
    gli uccelli avevano deposto nei nidi intrecciati, sui rami più alti.
    Fu Doroon, naturalmente, quello che cadde da un albero e si ruppe un braccio
    in una bella mattina di primavera, dopo essere stato incitato da Zubrette a salire sui
    rami più alti di una pianta vicina alla riva del laghetto. Dal momento che Rundorig
    se ne rimaneva là a bocca aperta a fissare l’amico ferito e che Zubrette aveva ta-
    gliato la corda praticamente prima ancora che Dooron toccasse il suolo, ricadde su
    Garion il compito di prendere alcune importanti decisioni. Rifletté quindi per qual-
    che momento sulla situazione in tutta gravità, il giovane volto serio ed intento sotto
    la massa di capelli color sabbia. Era evidente che il braccio era rotto, e Doroon,
    pallido e spaventato, si stava mordendo il labbro per non piangere.
    Un movimento attirò l’occhio di Garion, che sollevò rapidamente lo sguardo:
    un uomo avvolto in un mantello nero sedeva in sella ad un grosso cavallo scuro a
    poca distanza da loro, intento ad osservarli. Quando i suoi occhi incontrarono quelli dello sconosciuto, Garion avvertì una leggera sensazione di gelo, e seppe di aver
    già visto in passato quell’uomo... seppe che in effetti quella scura figura si era
    sempre tenuta al limitare del suo campo visivo fin da quando gli riusciva di ricor-
    dare, senza mai parlare ma guardandolo di continuo. In quell’esame silenzioso vi
    era qualcosa che somigliava alla paura, pur non potendosi definire tale.
    Poi Doroon piagnucolò e Garion riportò la propria attenzione su di lui.
    Con precauzione, legò il braccio leso dell’amico contro il torace servendosi del-
    la propria cintura, poi lui e Rundorig aiutarono il compagno ferito ad alzarsi in pie-
    di.
    «Avrebbe almeno potuto darci una mano» borbottò Garion in tono risentito.
    «Chi?» chiese Rundorig, guardandosi intorno.
    Garion si volse per indicare l’uomo ammantato di nero, ma il cavaliere se n’era
    andato.
    «Non vedo nessuno» insistette Rundorig.
    «Mi fa male» mormorò Doroon.
    «Non ti preoccupare» lo rassicurò Garion. «Zia Pol te lo metterà a posto.»
    E così fu. Quando i tre si presentarono sulla porta della cucina, la zia afferrò la
    situazione con una sola occhiata.
    «Portatelo qui» disse loro, senza neppure una nota di agitazione nella voce. Fe-
    ce sedere il ragazzo, pallido ed in preda ad un tremito violento, su uno sgabello vi-
    cino al fuoco, e procedette a mescolare al tè un assortimento di erbe prelevate da
    alcuni vasetti di terracotta, su un alto scaffale di una credenza.
    «Bevi questo» ordinò ancora zia Pol, preparando un paio di stecche ed alcune
    fasce di lino.
    «Puah! Ha un gusto orrendo!» protestò Doroon, con una smorfia.
    «È normale che sia così. Bevilo tutto.»
    «Non credo di volerne ancora.»
    «Molto bene.» Zia Pol spinse da parte le stecche e prelevò un coltellaccio appe-
    so ad un gancio.
    «Cosa vuoi fare con quello?» chiese il ragazzino, con voce tremante.
    «Dal momento che non vuoi bere la medicina» ribatté la donna in tono blando,
    «credo proprio che lo dovrò tagliare via.»
    «Via!» strillò Doroon, con gli occhi che gli sporgevano dalle orbite.
    «Probabilmente più o meno a quest’altezza» confermò in tono pensoso zia Pol,
    sfiorando il braccio con la punta del coltello all’altezza del gomito.
    Con le lacrime agli occhi, Doroon trangugiò il resto della medicina, e poco do-
    po cominciò a ciondolare sullo sgabello, quasi sonnecchiando. Gridò una volta,
    quando zia Pol rimise a posto l’osso fratturato, ma dopo che gli ebbe steccato e fa-
    sciato l’arto tornò ad assopirsi. Zia Pol parlò brevemente con la madre spaventata
    del ragazzo, poi fece portare Doroon a letto da Durnik.
    «Gli avresti davvero tagliato via il braccio?» domandò Garion. «No, vero?»
    Zia Pol lo guardò senza cambiare espressione.
    «Oh?» fece, e lui non si sentì più sicuro che non lo avrebbe fatto. «Credo che
    adesso mi piacerebbe scambiare un paio di parole con la signorina Zubrette.»
    «È scappata via quando Doroon è caduto dall’albero» spiegò Garion.
    «Valla a cercare.»
    «Si è nascosta» protestò il ragazzo. «Si nasconde sempre quando qualcosa va
    storto, e non saprei dove cercarla.»
    «Garion, non ti ho chiesto se sapevi dove cercarla, ti ho detto di trovarla e di
    portarla qui da me.»
    «E se non vuole venire?» temporeggiò Garion.
    «Garion!» Vi era una spaventosa nota conclusiva nel tono di zia Pol, e Garion
    corse fuori.
    «Io non c’entro per niente» mentì Zubrette mentre Garion l’accompagnava in
    cucina da zia Pol.
    «Tu!» intimò zia Pol, indicando uno sgabello. «Siediti!»
    Zubrette si lasciò cadere sullo sgabello indicatole, la bocca spalancata e gli oc-
    chi dilatati.
    «E tu!» aggiunse zia Pol, puntando il dito verso la porta della cucina e rivol-
    gendosi a Garion. «Fuori!»
    Garion si affrettò ad obbedire.
    Dieci minuti più tardi la ragazzina uscì in lacrime dalla cucina, mentre zia Pol
    si soffermava a seguirla con lo sguardo dalla porta, gli occhi gelidi come il ghiac-
    cio.
    «L’hai battuta?» domandò Garion in tono speranzoso.
    «Certo che no.» Zia Pol lo incenerì con un’occhiata. «Io non picchio le ragazzi-
    ne.»
    «Io l’avrei picchiata» replicò Garion, un po’ deluso. «Ma allora che cosa le hai
    fatto?»
    «Non hai nessun compito da svolgere?» chiese di rimando zia Pol.
    «No, niente» rispose Garion, e quello, ovviamente, fu un errore.
    «Bene» dichiarò zia Pol, acchiappandolo per un orecchio, «allora è tempo che
    tu cominci a guadagnarti da vivere. In cucina troverai dei piatti sporchi. Voglio che
    tu li lavi.»
    «Non so perché tu sia tanto arrabbiata con me» protestò Garion. «Non è stata
    colpa mia se Doroon è caduto dall’albero.»
    «In cucina, Garion. Adesso.»
    Il resto della primavera e parte dell’estate trascorsero tranquilli. Doroon, natu-
    ralmente, non poté giocare fino a che il braccio non gli fu guarito del tutto, e Zu-
    brette era rimasta talmente scossa da quello che zia Pol le aveva detto che evitò gli
    altri due ragazzi. Di conseguenza, Garion ebbe solo Rundorig con cui giocare, e
    Rundorig non era abbastanza intelligente per essere un compagno di giochi diver-
    tente. Siccome in effetti non c’era altro da fare, i due ragazzini si recavano spesso
    nei campi a guardare i braccianti che lavoravano e ad ascoltare i loro discorsi.
    Il caso volle che, nel corso di quella particolare estate, gli uomini della fattoria
    di Faldor si mettessero a rievocare la Battaglia di Vo Mimbre, l’evento più catastrofico della storia dell’intero occidente. Garion e Rundorig ascoltarono come in-
    cantati gli uomini che narravano come le orde di Kal Torak si fossero improvvisa-
    mente abbattute sull’occidente, circa cinquecento anni prima.
    Tutto aveva avuto inizio nell’anno 4865, stando a come gli uomini calcolavano
    il trascorrere del tempo in quella particolare parte del mondo, quando le vaste mol-
    titudini dei Murgos, dei Nadraks e dei Thulls si erano riversate oltre le montagne
    della catena orientale piombando sulla Drasnia, seguite da ondate interminabili di
    innumerevoli Malloreani.
    Dopo che la Drasnia era stata brutalmente schiacciata, gli Angarak avevano de-
    viato verso sud, sulle vaste piane erbose di Algaria, ed avevano cinto d’assedio u-
    n’enorme fortezza chiamata la Roccaforte Algariana. L’assedio si era protratto per
    otto anni, ed alla fine Kal Torak, disgustato, lo aveva abbandonato. Era stato però
    solo quando lui aveva fatto deviare il proprio esercito verso occidente, entrando
    nell’Ulgoland, che gli altri regni si erano accorti che l’invasione degli Angarak non
    era diretta solo contro gli Alorns ma anche contro tutto l’occidente. Nella primave-
    ra del 4875, Kal Torak era giunto sulla pianura arendiana antistante la città di Vo
    Mimbre, dove gli eserciti riuniti dei regni dell’occidente lo stavano aspettando.
    I Sendariani che avevano preso parte alla battaglia avevano servito all’interno
    di un contingente capitanato da Brand, il Custode Rivano. Quel contingente, for-
    mato da Sendariani, Rivani e Arends Asturiani, aveva assalito la retroguardia degli
    Angarak dopo che la sinistra era stata impegnata dalle forze congiunte di Algariani,
    Drasniani ed Ulgos, la destra da Tolnedrani e Chereks, ed il fronte era stato aggre-
    dito dalla leggendaria carica degli Arends Mimbrati. La battaglia aveva infuriato
    per quattro ore, fino a che, nel centro della mischia, Brand non si era incontrato con
    Kal Torak in persona. Su quel duello si era basato il risultato della battaglia.
    Sebbene fossero trascorse quasi venti generazioni da quando quello scontro di
    titani aveva avuto luogo, esso era ancora vivo nella memoria dei contadini senda-
    riani che lavoravano nella fattoria di Faldor, quasi come se si fosse verificato appe-
    na il giorno precedente. Essi descrissero ogni singolo colpo, ogni fendente, ogni
    parata. Nel momento finale, quando era parso che stesse per essere inevitabilmente
    sopraffatto, Brand aveva tolto la copertura dal suo scudo, e Kal Torak, invaso da
    una qualche momentanea confusione, aveva abbassato la guardia ed era stato im-
    mediatamente abbattuto.
    Per Rundorig, la descrizione della battaglia era sufficiente ad infiammare il suo
    sangue arend, ma Garion notò invece che il resoconto della vicenda lasciava prive
    di risposta alcune domande.
    «Perché lo scudo di Brand era coperto?» domandò a Cralto, uno dei contadini
    più anziani.
    «Lo era e basta» replicò questi con una scrollata di spalle. «È un punto su cui
    concordano tutti quelli con cui ho parlato.»
    «Ma era uno scudo magico?» insistette Garion.
    «Può darsi che lo fosse, ma non l’ho mai sentito dire a nessuno. Tutto quello
    che so è che quando Brand ha scoperto lo scudo, Kal Torak ha abbassato il proprio
    e Brand gli ha trapassato la testa con la spada... attraverso l’occhio... così mi hanno
    raccontato.»
    Garion scosse cocciutamente il capo.
    «Non capisco. Come può una cosa del genere aver spaventato Kal Torak?»
    «Non saprei dirlo» ripeté Cralto. «Non ho mai sentito nessuno che lo spiegas-
    se.»
    Per quanto insoddisfatto da certi aspetti della storia di Cralto, Garion accondi-
    scese subito al piano piuttosto ingenuo proposto da Rundorig di ripetere il famoso
    duello. Dopo aver assunto posizione e scambiato colpi con un paio di bastoni per
    un’intera giornata, entrambi arrivarono alla conclusione che ci voleva un certo e-
    quipaggiamento per rendere il gioco più divertente. Due padelle e due grossi co-
    perchi sparirono misteriosamente dalla cucina di zia Pol, e Garion e Rundorig, ora
    equipaggiati di elmo e scudo, si rifugiarono in un luogo tranquillo dove poter com-
    battere.
    Tutto stava procedendo per il meglio quando Rundorig, che era più grande più
    alto e più forte, sferrò a Garion un risonante colpo sull’elmo improvvisato, con la
    spada di legno. Il bordo della pentola praticò un taglio lungo il sopracciglio di Ga-
    rion, ed il sangue cominciò a sgorgare: il ragazzo sentì un’improvvisa vibrazione
    agli orecchi ed una ribollente esaltazione scorrergli nelle vene mentre si alzava da
    terra.
    In seguito non fu mai in grado di spiegare cosa fosse accaduto, gli rimasero so-
    lo ricordi frammentari di se stesso che gridava parole di sfida contro Kal Torak, in
    una lingua che non era neppure capace di comprendere. Quello dinnanzi a lui non
    era più il volto giovane ed alquanto stolido di Rundorig, ma qualcosa di brutto e di
    orrendamente mutilato. In preda ad una furia incontrollabile, Garion colpì più volte
    quel viso, con le fiamme che gli ardevano nel cervello.
    E poi fu tutto finito. Il povero Rundorig giaceva ai suoi piedi, privo di sensi a
    causa del furibondo attacco, e Garion, pur sentendosi inorridito per quello che ave-
    va appena fatto, avvertì al tempo stesso in bocca l’ardente sapore della vittoria.
    Più tardi, in cucina, il luogo in cui venivano per abitudine curate tutte le ferite
    che si verificavano nella fattoria, zia Pol si occupò dei due ragazzi facendo solo
    minimi commenti in proposito. Rundorig non sembrava seriamente ferito, anche se
    la sua faccia cominciava a gonfiarsi e ad arrossarsi in parecchi punti ed anche se in
    un primo tempo lui aveva avuto difficoltà visive. Alcuni panni freddi sulla testa ed
    una delle pozioni di zia Pol lo avevano rapidamente rimesso in sesto.
    Il taglio sulla fronte di Garion, però, richiese qualche cura più seria. Zia Pol
    chiamò Durnik perché tenesse fermo il ragazzo, poi prese ago e filo e ricucì il ta-
    glio con estrema tranquillità, quasi si fosse trattato di uno squarcio nella manica di
    una camicia, ignorando del tutto gli ululati del suo paziente. A conti fatti, la zia
    parve più preoccupata per le ammaccature riportate dalle sue pentole che per le fe-
    rite di guerra dei due ragazzi.
    Quando fu tutto finito, Garion aveva mal di testa e venne portato a letto.
    «Se non altro, ho battuto Kal Torak» disse a zia Pol, in tono assonnato.
    «Dove hai sentito parlare di Torak?» ritorse lei, fissandolo in maniera penetran-
    te.

    «Si chiama Kal Torak, zia Pol» spiegò lui, con pazienza.
    «Rispondimi.»
    «I contadini stavano raccontando delle storie... il vecchio Cralto e gli altri... su
    Brand e Vo Mimbre e Kal Torak e tutto il resto. È a questo che Rundorig ed io sta-
    vamo giocando. Io ero Brand e lui era Kal Torak, ma non sono riuscito a scoprire
    lo scudo: Rundorig mi ha colpito alla testa prima che arrivassi a quel punto.»
    «Voglio che tu mi ascolti, Garion, e voglio che tu lo faccia molto attentamente:
    non dovrai pronunciare mai più il nome di Torak.»
    «Si chiama Kal Torak, zia Pol» ripeté Garion, «non solo Torak.»
    E fu allora che lei lo colpì... cosa che non era mai accaduta prima. Lo schiaffo
    sulle labbra lo sorprese più che fargli male, perché non era stato molto violento.
    «Non dovrai pronunciare mai più il nome di Torak! Mai più! È importante, Ga-
    rion, ne va della tua sicurezza, e voglio che tu lo prometta.»
    «Non c’era bisogno che ti arrabbiassi tanto» le fece notare il ragazzo con tono
    risentito.
    «Prometti.»
    «D’accordo, lo prometto. Era solo un gioco.»
    «Un gioco molto sciocco» lo rimproverò zia Pol. «Avresti potuto uccidere il
    povero Rundorig.»
    «Ed io?» protestò Garion.
    «Tu non sei mai stato veramente in pericolo. Adesso dormi.»
    E lui si assopì in maniera agitata, la testa leggera per la ferita e la strana bevan-
    da amara che zia Pol gli aveva fatto bere. Mentre dormiva, gli parve di udire la vo-
    ce ricca e profonda della zia che mormorava:
    «Garion, mio Garion, sei ancora troppo giovane.»
    E più tardi, emergendo dalle sfere più profonde del sonno come un pesce sale al
    pelo dell’acqua, gli parve di sentirla chiamare:
    «Padre, padre, ho bisogno di te.»
    Sprofondò quindi ancora nel sonno, perseguitato dalla scura sagoma di un uo-
    mo su un cavallo nero che seguiva ogni suo movimento con fredda animosità e
    qualcosa che rasentava la paura. E dietro quella nera figura della cui presenza lui
    era sempre stato consapevole senza mai ammetterla apertamente con nessuno, nep-
    pure con zia Pol, c’era il volto orrendo e mutilato che aveva intravisto brevemente,
    o forse immaginato, nel corso del combattimento con Rundorig: quel volto incom-
    beva oscuro su di lui, come l’orrendo frutto di un albero indescrivibilmente malva-
    gio.


    Edited by Sil.lav - 19/8/2012, 10:46
  8. .
    Una serie bellissima
    molto intrigante, con quella punta di ironia e giocosita che fa scorrere il libro perfettamente
  9. .
    una serie veramente bellissima!!!!! l'ho adorata :LALALALA:
    mi era sembrato di essere là nel terzo libro......... sono stati pochi i libri che hanno egualiato questo,
    l'emozione, il sentimento di attesa che tocca il culmine quando si viene a sapere della morte di kris e la prigionia di talia............
    non sò come ma mi è sembrato di sentire distintamente nella realta questo momento............
    il mio sgomento, quando ho scoperto che la trilogia tradotta, era solo la punta di una marea di libri scritti dall'autrice sul mondo di valdemar.........................
    ho perfino preso Take a Thief in inglese per provare a leggerlo ma non sono riuscita anche ora è li che mi occhieggia dalla libreria :kaggy:
    vorrei tantissimo che venisse ripresa :piangopiango:

    CITAZIONE (x_Persephone_x @ 30/3/2012, 20:35) 
    Metto qui i titoli di tutta la saga (sono in ordine di lettura, non di data)

    questo è l'ordine cronologico di lettura ;)
  10. .
    Le nebbie di Avalon è state una delle mie prime letture fantasy!!!!!!!Bellissimo, articolato, alla fine è stato cosi triste......... Anche a distanza di anni ricordo le immagini e le sensazioni che mi ha regalato



    CITAZIONE (fairy7 @ 10/7/2012, 12:07) 
    voi dite che perdo il gusto? Quanto si discosta?

    i libri sono sembre più articolati dei film che li rappresentano, e le nebbie di Avalon non fa eccezzione, è decisamente piu profondo e articolato della trasposizione.
    Comincia con la sensazione che la magia è in ogni cosa e finisce con un richiamo alla realtà, la magia si fa da parte ma perdura la speranza
  11. .
    miss-bone-134 Grazie
  12. .
    CITAZIONE (Karyn. @ 5/7/2012, 21:34) 
    Questo libro dovrebbe essere letto dopo il 5° della serie Demonica.

    buono a sapersi allora aspetto a cominciare la lettura ^_^
  13. .
    :grazieee: :baciiiiiiiiiiiiiii:
  14. .
    Capisco, gli spoiler sono un incognita, io in verità non ne ho ancora trovato uno che mi sono pentita di leggere, percui sono tranquilla, ma capisco che se ti hanno rovinato la lettura di un libro tu sia titubante, posso dirti che è stato il primo spoiler a farmi riconsiderare l'acquisto
  15. .
    io preferisco avere un idea di cosa mi trovo a leggere, se ci rimango male durante la lettura devo femarmi e farmi passare l'incazzatura e poi dipende se riprendo a leggere
    però questa è una mia idea ;)
112 replies since 4/7/2012
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